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LE TOMBE DEI PAPI
DI
FERDINANDO GREGOROVIDS
PRIMA TRADUZIONE ITALIANA rivista kb accresciuta dai.)/ autore
Un volume.
ROMA,
FRATELLI BOCCA e C.°. LIB.-EDIT./ 1879. ^
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LE TOMBE DEI PAPI.
FIRENZE, Tip. di G. Barbèua.
LE TOMBE DEI PAPI
DI
FERDINANDO GREGOROVIUS
PRIMA TRADUZIONE ITALIANA rivista ed accresciuta dall' autore.
Un volume.
ROMA,
FRATELLI BOCCA e C.°, LIB.-EDIT. 1879.
Proprietà letteraria.
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Questo volume dell' illustre Ferdinando Gregorovius, nome oramai caro all' Italia e più specialmente a Roma, fu pubblicato fin dall'anno 1857. 1 Fu quasi lo studio preli- minare a quel vasto ed ammirabile lavoro della Storia della Città di Roma, e per ser- virci di una espressione dello stesso Autore « fu il vestibolo pel quale egli entrò nella maestosa basilica del Medio-Evo. »
È libro di piccola mole, ma contiene tutta intera la storia personale del papato, delineata a grandi tratti e piena di quelle
' Die Gràbmàler der Ròmischen Pàpste. Historische Studia von Ferdinand Gregorovius. Leipzig, F. A. Brock- haus, 1857.
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VI
magiche attrattive, con le quali il Grego- rovius sa raccomandare ogni suo scritto.
Nel 1859 il signor Sabatier ne pubblicò una traduzione francese,1 la quale ci fece ritenere da principio poco opportuna e quasi inutile alla maggior parte dei lettori una italiana. Ma la lunga e sincera amicizia che lega 1' Autore all' avvocato R. Ambrosi, che ci si era offerto per la traduzione dal tedesco, fece sì che noi potessimo ottenere dall' Autore stesso tali aggiunte e modifica- zioni alla originaria edizione di Lipsia, da renderne opportuna ed utilissima la tradu- zione italiana. Egli di fatto non solo scrisse per questa edizione le pagine che si riferi- scono al pontificato di Pio IX ed alle mu- tate condizioni del papato, ma riordinò e quasi ricompose gran parte dell' opera.
1 Les tombeaux des Papes romains par Ferdinand Gregorovius traduit par F. Sabatier, précède d'une intro- duction de M. J-J. Ampère de VAcadcmie frangaise. Paris, Michel-Lévy frères, 1859.
VII
Così presentiamo al pubblico questo pre- giato lavoro dell' illustre cittadino romano, sperando die i lettori ci sapranno grado del nostro pensiero e delle nostre cure.
Roma, marzo 1879.
Gli Editori.
AL SIGNOR
CLEMENTE AUGUSTO ALERTZ
IN ROMA.
Fructus mundi mina Papa Gregorio I.
La vista dei monumenti fa sì che noi pos- siamo con la nostra immaginazione dar vita e corpo al passato ; del che non v' ha per chi ama la storia occupazione più gradita e interessante. In quelli la storia stessa rivive come in un ritratto. Nei nostri tempi que- sta scienza ha preso a sollevarsi sulle altre con volo poderoso e, direi quasi, con nuovo aspetto. Lo studio dei documenti, non mai coltivato con altrettanto amore nel passato, e la rappresentazione viva dei luoghi e dei monumenti segnan per lei un' èra nuova nella storia delle scienze. Per tal riguardo
2 A CLEMENTE AUGUSTO ALERTZ.
io intendo che anche questo scritto, sulle tombe dei papi di Roma, sia da considerarsi come uno studio storico.
Ne concepii il disegno, alcuni anni fa, in San Pietro, un giorno che la statua di Paolo III Farnese, posta sulla sua tomba, colpì più vivamente la mia immaginazione. Quelle figure che io mi vedeva attorno, sedute sui loro sarcofaghi, con le mani le- vate in atteggiamento solenne, mi sembra- van quasi un senato di dèi o di genii tu- telari di quel gran tempio, e mi parve che avrei fatto opera utile, se, ricercando le sparse tombe dei papi, col loro aiuto avessi scolpita quasi in un rilievo la storia del papato.
Molte ore io ho consacrato a questo studio singolare e tutto romano, giacché in Roma, più che in qualsivoglia città del mondo, le indagini dello storico devon se- guir le tracce della morte. Né in alcun' altra parte della terra l' anima è tanto spesso presa dalla malinconia, quanto ai piedi del- l' eterna Roma, che tra le rovine dei secoli
A CLEMENTE AUGUSTO ALKRTZ. 3
sorge ancora bella e triste, Nemesi mutilata della storia, stringendo nella mano il volume su cui sono scritti i destini dei popoli. Tali ore di malinconia io ho utilmente occupate in questo studio, cercando di propiziarmi i morti coli' offrir loro questo sacrifizio.
Ed ora io vengo, mio onorato signore, a collocare questo scritto nella sua biblio- teca, della quale Ella con rara liberalità mi ha da tanti anni concesso uso illimi- tato. Spesso noi ci siam trattenuti in sua casa a conversare amichevolmente : le cose di Roma, i monumenti del papato ci porser più volte argomento di riflessioni e ricerche.
Possa tornarle gradito il ricordo di quelle ore, oggi che non sappiamo per quanto tempo il destino ci permetterà di conti- nuarle in Roma.
Questo io scriveva nella Campagna ro- mana, in vista dell'antica città papale di Anagni, oggi 23 luglio 1856.
PRIMA SERIE.
I.
Verrà un tempo in cui le tombe dei Papi avranno quella stessa importanza che oggi i busti e le statue degl'Imperatori romani, di cui sono a noi giunti non pochi e certi esemplari. Allora probabilmente non vi saran più Papi. La religione si sarà mani- festata in una forma nuova e a noi sconosciuta ; e a quella società umana, tanto diversamente ordinata dalla presente, il papato, remotissimo di tempo, sembrerà certamente una creazione molto più gran- diosa che a noi viventi oggidì.
E invero, non è il papato la manifestazione uni- versale del più grande sistema sociale che mai sia stato al mondo ? Non è una democrazia che si diffonde per tutte le membra di un corpo politico senza confini ? Non è un' aristocrazia severamente regolata, un assolutismo elettivo che ha pure il suo fondamento su base democratica? Nel centro del
6 LE TOMBE DEI PAPI.
regno infinito dello spirito, abbracciarle cielo, terra ed inferno, diviso e governato con tal politica e fantasia, che al solo pensarci l'animo si perde come preso da vertigine, si è collocato il Papa, di solito un debole vecchio.
Una mano tremolante stringe i fulmini del cielo. Oh davvero che, di qui ad innumerevoli anni, questi vecchi di San Pietro saran riguardati con stupore tra le più maravigliose figure del passato! Alcune delle loro tombe resteranno ancora, spe- cialmente quelle di bronzo ; e dinanzi a quei vecchi maestosi e severi, dalla triplice corona, dalle vesti solennemente fluttuanti, dai volti tetri o soavi, fanatici o benevoli, dalle lunghe barbe, dalle mani levate per benedire o maledire, taluno s' ar- resterà stupito, ed esclamerà: « Ecco i Papi, padri e dominatori spirituali del mondo cL' allora. Quanto tetro e senilmente uggioso dev' essere stato quel mondo ! »
Era tale e non era. Da quei vecchi spiravano egualmente vecchiezza e tenebre, come gioventù e luce; e taluno d'essi ebbe cuore più giovanile che molti giovani re precocemente invecchiati. Co- munque sia, non può far a meno di provare un sentimento d' ammirazione chi in San Pietro, fer- matosi dinanzi a quelle figure sacerdotali, si fa a
PRIMA SERIE. 7
ripensare qual potere il consenso degli uomini abbia riconosciuto in quei vegliardi per una serie non interrotta di secoli.
Non è molto che essi, deboli e inermi com' era- no, assoggettavano principi guerrieri, avevano il potere di deperii e toglier loro la corona; non è molto che ai re, i quali si fossero attirati il loro sdegno, essi ordinavano di aspettare innanzi alla lor porta scalzi e in abito di penitenti, e che a quelli cui volessero dar segno di favore, conce- devano di servirli a mensa, o di regger loro la staffa.
Essi uscivano dalla oscurità : molti di loro na- scevano non tra la porpora, come i re, anzi nella povertà e nell' abbiezione ; eppure imperatori ere- ditari lor baciavano il piede, e si dicevano loro vassalli. m
Fino a ieri sconosciuti e inosservati, oggi strin- gono nelle mani le redini della storia del mondo, e divengono arbitri del destino dei popoli. Con indosso il sacco del mendicante o dell' eremita sa- livan sul trono della terra, né ciò pareva strano agli occhi del mondo. A quale stirpe o nazione ap- partenessero, non importava: che fossero greci o siri, tedeschi o spagnuoli, francesi, inglesi o ita- liani, si sapeva appena, giacché a loro doveva ub-
8 LE TOMBE DEI PAPI.
bidienza ogni nazione. E come essi giungevano al trono senza che avessero potuto prevedere la loro nomina, così ne scendevano senza sapere a qual mano il capriccio del momento avrebbe affidato il loro scettro. Neil' ora della morte niuno di loro conosceva il suo successore, e tuttavia il regno loro elettivo, in balìa del caso più che ogni altro al mondo, era incrollabile come un decreto di Dio.
I loro pronunziati eran legge pel mondo. Essi eran più terribili che Jehova. Con una sola pa- rola gettavan tutto un popolo nella disperazione, e su tutta una contrada distendevano la quiete del cimitero.
Potevano annunziar la guerra e la pace, fon- dare e rovesciare imperi. Facevan clono di terre e mari non loro ; ed essi che non possedevan nulla, ripartivano tra i sovrani contrade ancor da sco- prire, come se questo pianeta fosse loro proprietà. Con un tratto di penna sulla carta del globo se- gnavano un confine a popoli e principi.
Pretendevano di comandare al globo terrestre che stesse fermo, e ordinavano il sistema del cielo secondo la loro volontà e secondo l' ignoranza pro- pria e del secolo.
Dicevano al pensiero umano : arrestati ; ovvero non gli concedevan di avanzarsi se non di quanto
PRIMA SERIE. 9
loro piacesse. Con mano parca gli misuravan la scienza, più avaramente ancora, la libertà, e sì col- F amore, sì col timore, sì cogli artificiali limiti del mistero, cercavano <T impedirgli che troppo ra- pidamente s' estendesse. Con tutte e tre le catene tenevano avvinta 1' umanità che baciava la sferza ond' essi la correggevano.
Eran padroni della mente del mondo. La loro potenza incorporea ed inerme consisteva nella fede e nella superstizione. Signoreggiavano nel regno dello spirito colla verga magica della fantasia.
Essi cacciavano dal paradiso terrestre come dal celeste; precipitavano le ànime umane negli abissi dell'inferno, e potevano ritrarnele; stendevano la mano così nel più lontano avvenire come nel pas- sato. E potevan farlo, avendo essi autorità di scio- gliere e di legare.
Essi dichiaravan gli uomini beati, colla loro sentenza gP innalzavano tra i santi del cielo, e loro permettevano di operar miracoli. Eran giudici dei vivi e dei morti.
E donde ebbe origine questa misteriosa potenza di un debole mortale, non mai apparsa per lo in- nanzi, e che non tornerà mai ad apparire?
Vive nell'animo degli uomini l'aspirazione pro- fonda e primitiva all' unità ideale, per cui P indi-
10 LE TOMBE DEI PAPI.
viduo si collega all' universo. Or il papato ha in sé presentato tale idealità sublime dell' umanità ; questo fu il talismano della sua potenza misteriosa. L'organismo del genere umano e l' idea sua univer- sale ed eterna s' accentrava in lui e n' era retto, come il corpo e le membra sono informate dal- l'anima. All'universo, che non muta, ha esteso il palpito della vita umana infelice e passeggera, e ne ha sciolto le dissonanze in armonia. Ha colle- gato insieme il cielo colla terra. Esso si era fatto un'immagine di Dio sulla terra ; esso si era costi- tuito capo ideale della Chiesa universale, che in se dovea raccogliere il genere umano, famiglia di Dio, e come padre dell' umanità fu venerato dai popoli.
Noi consideriamo con ammirazione la signoria politica universale de' Romani come un fatto unico nella storia : ora non par egli questo concetto ben meschino, se si paragona a quello che il papato formò di sé stesso?
Quei tempi misteriosi ora son passati. Un fe- nomeno storico non si ripete, né continua immu- tato nella vita dei popoli. Quei Papi che furon tali nel più alto senso, son morti da gran tempo. Quell' epoca memorabile ci ò richiamata alla me- moria dalle lor tombe, che noi ora ci faremo a con- siderare ordinatamente.
PRIMA SERIE. 11
IL
11 lettore che prende in mano questo scritto, s'immagini come una Via Appia del papato, la quale scorrendo attraverso i secoli metta capo ai nostri giorni. Da ambo i lati ei riguarderà i mo- numenti dei Papi come quelli degli antichi Romani lungo la Via Appia. Non pochi son distrutti, di altri non rimangono in pie che le rovine ; molti s'elevano in tutto lo splendore della lor magni- ficenza.
Ma queste tombe sono informate a tutt' altro principio monumentale che le romane antiche. Presso i Romani il principio dominante è architettonico, presso i Cristiani plastico. Infatti gV Imperatori ro- mani edificavan per sé splendidi mausolei, ne' quali facevano seppellire profondamente le loro urne se- polcrali ; i Papi al contrario volevano eternar sé stessi nella loro piena personalità, e dominar dopo morte la Chiesa, almeno con la loro effigie mar- morea. Molti di essi invero, divenuti oggetti di culto, esercitarono un' influenza durevole.
A tale principio, cioè al desiderio di conservar la figura personale del Principe della Chiesa per glorificazione di lui, per edificazione dei fedeli,
12 LE TOMBE DEI PAPI.
noi siamo debitori di tutte quelle statue e quei monumenti storici che si son conservati. Questi pur tuttavia non son molti ; dacché dei 264 Papi annoverati nel catalogo di Guglielmo de Bury, com- pletato da Novaes e Artaud, poco più di 60 mo- numenti rimangono in Roma, e 20 appena in altre città d' Italia, cioè in Perugia, Viterbo, Firenze, Napoli, Arezzo, Pisa, Verona, Salerno, Ferrara, Bo- logna, Recanati, Aquila e nel monastero di Monte Cassino.
I Papi di Avignone hanno in Francia i loro monumenti ; in tutta Germania non v' è che la città di Bamberga la quale possegga tra le sue curiosità storiche la tomba di un Papa.
In Roma stessa, dove la maggior parte dei Papi hanno avuto la loro sepoltura, e dove in San Pie- tro soltanto devono essere stati sotterrati più che 150 Papi, un gran numero di monumenti anelò di- strutto per le ricostruzioni delle chiese, special- mente per quelle di San Pietro e San Giovanni in Laterano, tanto che de' più antichi monumenti non ci rimane che qualche iscrizione contenuta nei libri. Soltanto col secolo decimoquarto, ossia dal ritorno dei Papi dalla cattività d'Avignone, i loro monumenti cominciano a mostrarcisi in una serie quasi non mai interrotta sino ai nostri giorni, rap-
PRIMA SERIE. 13
presentando agli occhi dell' osservatore una viva e continuata storia sì del papato a cui apparten- gono, come dell' arte che gli ha formati.
Ne' primi secoli del cristianesimo i vescovi di Roma si seppellivano nelle catacombe o ne' cimi- teri fuori della città, tra' quali i più notevoli son quelli di Calisto sulla Via Appia, di Calepodio sull' Aurelia, di Priscilla sulla Salaria, di Balbina sulla Ardeatina e finalmente le catacombe di San Lorenzo fuor delle mura. L'anno 1855 in una te- nuta denominata Pietra aurea o Coazzo, apparte- nente al Collegio di Propaganda, a sette miglia da Roma, lungo la Via Nomentana, furono sco- perte le Catacombe e la chiesa cemeteriale del vescovo Alessandro. Questa insigne necropoli di un tempo così antico, benché non sia stata scavata che in parte, pur ci presenta in piccolo V imma- gine di una Pompei cristiana.
Più tardi si scelsero di preferenza le cata- combe vaticane, poiché dicevasi che lì vicino, nel circo neroniano, V apostolo Pietro avea sofferto il martirio, e quando V imperatore Costantino ebbe edificata la basilica vaticana, il corpo dell' apo- stolo, chiuso in una cassa di bronzo, vi era stato sepolto. Da quel tempo in poi il Vaticano, consa- crato dalla tomba di un sì gran martire, fu rite-
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nuto quale il più santo luogo di sepoltura di tutta la Roma cristiana. E non solo i vescovi, ma anche i grandi di Roma, consoli, prefetti, ricchi patrizi e perfino imperatori volevano esservi seppelliti.
Onorio, figlio di Teodosio e fratello d'Arcadio, fu il primo degT Imperatori cristiani che fosse se- polto nell1 atrio dell' antica basilica di Costantino, in quel tempo così notevole, quando V antico Im- pero precipitava alla rovina, e il popolo e il senato, romano tenevansi ancora per la più parte attac- cati ostinatamente al paganesimo. Questa tomba di un Cesare, così umilmente confusa tra quelle dei credenti nell' atrio oscuro di una chiesa cri- stiana, doveva fare uno strano effetto in vicinanza del mausoleo d' Adriano, mole imperitura che a quel tempo sorgeva ancora intatta nella sua ma- gnificenza.
Presso San Pietro giacevano sepolte anche le due mogli di Onorio, le due sorelle Maria e Ter- manzia, figlie del grande Stilicone. La tomba di Maria, dopo mille anni e più, fu scoperta per caso il 4 febbraio 1544, mentre, per far posto alle nuove costruzioni di San Pietro, si distruggeva la cappella di santa Petronilla. La terra restituì alla luce una morta che apparve in Roma come una visione del suo grande passato, e destò negli animi
PRIMA SERIE. 15
sentimenti di tragica elevatezza. La figliuola di Stilicone, quella donzella le cui feste nuziali erano state cantate un tempo dall' ultimo poeta della Roma pagana, Claudiano, giaceva in un' urna mar- morea sotto una volta murata. I suoi avanzi erano involti in una veste tessuta d' oro, un velo aureo le copriva parimente il capo e la faccia, presso di lei erano sparse le pietre più preziose, perle, gemme e molti ori del più fino lavoro. Tante ric- chezze facevan parte forse de' suoi ornamenti nu- ziali che Claudiano avea celebrati, ed erano stati sepolti insieme colla Imperatrice.1
Quando questo prezioso e straordinario tesoro fu presentato al Papa, ch'era Paolo III Farnese, accettò sorridendo di soddisfazione un contributo
1 Claudianus de nuptiis Honoriì et Maria'; una buona poesia scritta da un pagano, con concetti pagani ed indiriz- zata ad una sposa imperiale cristiana. Al verso 10 egli dice : iam munera nuptce Prceparat : et puìcros Mance sed luce mìnores Eligit ornatus : quicquid venerabilis olim Lividi divorumque nurus gessere superbce.
Maria era congiunta di parentela con Onorio, porche sua madre, Serena, era figlia del fratello di Teodosio chiamato an- ch'esso Onorio, fi giovane imperatore avea 14 anni quando sposò Maria, e visse con lei 10 anni. Dopo la sua morte prese a moglie la sorella di lei, Termanzia, il cui destino Claudiano avea predetto, come se fosse stato profeta, in sul fine del suo epitalamio scrivendo:
Aurea sic videat ùmile* Tlicrmantia tcédas.
16 - LE TOMBE DEI PAPI.
alla sua fabbrica, tanto inaspettato, ed ordinò che si fondessero tutti gli ori. Non se ne ritrasse meno di 40 libbre d' oro fine. Quanto gretto calcolatore, ovvero quanto povero ed avido doveva esser quel tempo, in cui pur si raccattava diligentemente nelle catacombe ogni ossicino di martire, e collocavasi in luogo sacro ogni coccio di ampolla !
Il secondo ed ultimo imperatore di Roma che ebbe la sua tomba nel portico del Vaticano, fu il nipote d'Onorio, Valentiniano III, figlio di Pla- cidia e marito di quella Eudossia la quale tre mesi dopo V uccisione di lui fu dai Vandali con- dotta prigioniera in Africa. Nei secoli seguenti tro- veremo nel medesimo atrio anche le tombe di tre Re anglosassoni e quella di un Imperatore tedesco.
Così sin dalla metà del secolo quinto i Papi fu- ron sepolti insieme con laici nelP atrio di San Pie- tro, che fu perciò chiamato anche il portico dei Papi.1 Molti di loro furon seppelliti ae1 sotterranei
1 Era quivi sepolta anche la siciliana Helpis, la prima mo- glie di Boezio. Ci resta tuttora la bella iscrizione sepolcrale in distici, composta forse dallo stesso infelice filosofo la cui om- bra offusca la gloria del nostro gran Teodorico. Questo epi- gramma è riprodotto anche nell'opera di Bunsen e Platner, lavoro esteso e ricco di notizie nel quale trova valevole sus- sidio chiunque si volga a far ricerche su Roma, benché sia a desiderare che in una nuova edizione venga alleggerito della sua dotta pesantezza e più acconciamente ordinato.
PRIMA SERIE. 17
del Vaticano presso il corpo di san Pietro, ma il loro monumento si collocò poi nelP atrio della chiesa. In quei secoli remoti per un sentimento di riverenza rifuggivasi dal] porre tombe nelP interno della basilica, giudicandosi che ciò mal s' accor- dasse colla santità di un tempio dov' eran sotter- rati tanti martiri. I morti dovevano contentarsi di riposar nelP atrio, presso alla porta, per dir così, del cielo. Di qui avvenne che sino al secolo settimo P atrio dell' antica chiesa di San Pietro si riempì di monumenti papali. Nessuno ne rimane oggidì, ma da quei delle catacombe possiamo con- getturare che consistessero in semplici lapidi se- polcrali, o in sarcofaghi ornati di sculture : non erasi ancora affermato il principio della rappresen- tazione personale. Delle iscrizioni in semplice prosa, più tardi in distici, celebravan le lodi del morto. Comincia la serie di queste iscrizioni con quella di Pelagio I dell'anno 560.1
1 Lascio da parte l'epoca delle catacombe, e comincio la serie delle iscrizioni storiche soltanto col secolo sesto. Trovansi questi titoli sparsi qua e là in diverse opere presso Grutero, Baronio, Galletti, Ciaconius, Papebroch, Torrigius, Giacobbe, nella Roma suhterranea etc. Pei sotterranei vaticani l'opera capitale è quella del Dionysius e sopra tutti : Emiliano Sarti, Appendix ad Philippi Laurentii Dionysii opus de Vaticanis Cryptis, Romse, 1840. In questa son riprodotte in buon ordine le più. antiche iscrizioni sepolcrali secondo un codice vaticano e l'opera di Pietro Mallio sulla Basilica di San Pietro.
LE TOMBE DEI PAPI.
EPITAFIO DI PELAGIO I.
Quantunque questo sepolcro tenga racchiuso il corpo terreno del santo uomo, nulla potrà togliere ay suoi meriti.
Egli vive nella ròcca celeste beandosi delV ete- rea luce, e anche quaggiù vive dappertutto nelle sante sue opere, certo di risorger nel dì del giu- dizio e d' esser collocato per mano degli angeli nella parte destra.
La chiesa di Dio enumeri i titoli delle sue virtù e i secoli venturi possano sostenerne il confronto !
Reggitore della fede apostolica egli proclamò dogmi venerabili cui illustri padri aveano stabi- lito ; colla sua parola guariva dalV errore quelli che erano stati travolti nello scisma, e faceva sì che i lor cuori commossi ritornassero alla vera fede.
Molti ministri egli consacrò secondo la legge divina, ma la sua mano immacolata nulla mai fece per prezzo.
'Riscattò prigionieri, fu pronto nel soccorrer gV infelici, non mai si ricusò di far parte del suo ai poveri.
Partecipando alle altrui afflizioni sparse a larga mano la felicità, e riputò sue le lagrime degli altri.
1 Vedi le iscrizioni latine alla fine del volume.
PRIMA SERIE. 19
Qui riposa Pelagio papa che regnò anni quat- tro, mesi dieci, giorni diciotto. Fu sepolto il quarto giorno innanzi le itone di marzo (4 marzo).
III.
Non v' è in Roma alcun monumento che ricordi quel periodo di tempo, tanto interessante, dei Goti, di Belisario, di Narsete, o P altro che seguì d' in- finita miseria per la città la quale, abbandonata al suo destino dagl' Imperatori di Bisanzio, assa- lita incessantemente dai Longobardi, cominciò a farsi sempre più spopolata e deserta. Furono al- lora i Papi gli unici difensori di Roma, e ressero la città a modo di repubblica in un tempo che, per la sua oscurità quasi completa, con infinite attrat- tive invita alle indagini lo studioso della storia. Non mai sono stati più grandi i vescovi di Roma, né mai la città è stata tanto a loro debitrice, quanto du- rante quei secoli oscuri di decadimento interno e eli oppressione esterna. Il più elevato carattere tra di essi, anzi addirittura il più nobile tra tutti i Papi fu Gregorio il Grande, romano della illu- stre famiglia patrizia degli Anicii. C è nella odierna Roma una chiesa che porta il suo nome, ed è San Gregorio nel Clivus Scauri vicino al Colosseo,
20 LE TOMBE DEI PAPI.
nel luogo stesso dove questo Papa aveva un tempo fondato un chiostro dedicato all'apostolo Andrea, per ritirarvisi in solitudine contemplativa. Quivi oggi son tre cappelle, una consacrata alla madre di lui Silvia, T altra a ,sant' Andrea, la terza a lui stesso ; in quest' ultima, neir altare, fu collocata la sua statua marmorea, tardo lavoro della scuola di Michelangelo. Vedesi in essa una colomba che, se- condo la leggenda, si piega verso V orecchio del Papa per infondergli lo Spirito Santo.
La sua tomba trovavasi un tempo nell'atrio di San Pietro, ma oggi non ne rimane più alcun avanzo, e perfino quell'immagine marmorea che vedesi nei sotterranei vaticani, non proviene da quell'antica tomba, ma serviva una volta ad ador- nare il ciborio che Innocenzo Vili aveva fatto fare per riporvi dentro il ferro della lancia. Non ci ri- mane che la iscrizione sepolcrale conservataci in Beda e in altri scrittori.
EPITAFIO DI GREGORIO MAGNO.1
Accogli, o terra, questo corpo di te plasmato, tu lo restituirai, allorché Dio tornerà ad infon- dervi la vita.
1 Vedi le iscrizioni latine alla line del volume.
PKIMA SERIE. 21
Lo spirito vola al cielo : su lui nulla possono i diritti della morte, anzi questa gli schiude la via ad un'' altra vita.
In questo sepolcro son chiuse le membra di quel Sommo Pontefice che vivrà sempre e dappertutto nelle buone sue opere innumerevoli.
Vinse la fame col dispensar pane, e il freddo col distribuir vesti, e difese le anime dal nemico colle sue sacre ammonizioni.
Egli suggellava col fatto quanto insegnava nei suoi discorsi, affinchè vi fosse un esempio, diceva egli con mistiche parole.
Colle sue pietose cure convertì a Cristo gli Angli, conquistando così nuove genti alla fede.
La tua fatica, il tuo studio, la tua cura, la tua industria, o pastore, era cV offrir al tuo Signore i più ricchi guadagni del tuo gregge.
Fatto Console di Dio rallegrati di questi trionfi, or che delle tue opere hai ottenuta mercede infinita.
Qui riposa Gregorio I papa, che regnò anni tredici, mesi sei, giorni dieci. Fu sepolto il quarto dì innanzi alle Idi di marzo {12 marzo).
Gli ultimi versi ci mostrano come lo spirito del poeta che li compose nell' anno 604, fosse ancora penetrato dalle immagini dell1 antichità classica.
22 LE TOMBE DEI PAPI.
Ancor lungo tempo dopo Gregorio I seguitò la barbarie ad aggravarsi su Roma. Allora le scienze e le arti si spensero, e la città marmorea d' Au- gusto e di Traiano prese l' aspetto di un sepolcreto fantastico, dove una schiera innumerevole di mo- naci avesse stabilito la sua dimora. Di queir età non resta in piedi alcun monumento che parli al- l' occhio del viaggiatore, seppur non è qua e là alcuno di quei tetri e stranamente espressivi mo- saici di stile bizantino che si veggono in qualche chiesa di Roma. Sono essi prodotto d'un' arte rozza e vigorosa, improntata della selvaggia severità di que' tempi che oggi noi non riusciamo ad inten- dere ; benché ci paia talvolta di poterli quasi per subitanea ispirazione indovinare, quando ci fer- miamo a contemplare la testa di un Cristo o 1* im- magine d' un santo di stile bizantino.
Allora, e intendo accennare alla fine del se- colo settimo e all' ottavo, dalle contrade setten- trionali affluivano a Roma i pellegrini per rice- vervi il battesimo presso la tomba dell' Apostolo. Re d' Inghilterra, dove Gregorio il Grande aveva spedito i primi missionari, offrivano a San Pietro le loro corone e le loro lunghe capigliature, e ri- cevevano sui gradini del Vaticano, come il premio più ambito della loro vita, una bianca veste da no-
PRIMA SERIE. 23
vizio. Venne a Roma Cadualla, re dei Sassoni oc- cidentali, vi venne Offa, re dei Sassoni orientali e il re Coenred. Essi tutti ebbero la loro tomba nel- T atrio della basilica vicino a quelle dei Papi.1
IV.
Nel secolo settimo si concepì il pensiero eli trasportare dall' atrio di San Pietro nelP interno le tombe di quei Papi, i quali furon più partico- larmente venerati come santi. Il primo fu Leone il Grande, al quale nell' anno 688 fu innalzata una magnifica tomba nella nave trasversa della Ba- silica. Fu egli adunque il primo che ottenesse un pubblico monumento nella chiesa stessa. Quel religioso orrore dei primi tempi essendo ormai scomparso, i morti si accalcavano nel santuario, e cominciarono a divenire oggetto di religiosa ve- nerazione; ebbe altresì principio in quel tempo il culto .delle reliquie e la venerazione anche di quei santi che non avevano sofferto il martirio.
Anche a san Leone fu eretto un altare. Quello oggi a lui dedicato fu costrutto sotto il pontificato
J L'iscrizione esagerata, gonfia e prolissa' di Cadualla re del Vessex, che morì in Roma l'anno 689, trovasi in Beda e presso il Baronio.
24 LE TOMBE DEI PAPI.
di Clemente XI nell'anno 1715. Trovasi nella cap- pella della Madonna Colonna, in fondo alla chiesa, e vi si vede al di sopra il celebre rilievo dell' Al- garcli. Vi è rappresentato quel Papa nell' atto che respinge Attila da Roma : la composizione si ras- somiglia all' affresco di Raffaello nella camera di Eliodoro.
Come san Leone, così anche Gregorio il Grande fu trasportato dall' atrio nell' interno della chiesa, 125 anni dopo la sua morte, sotto il pontificato di Gregorio IV che gV innalzò un altare. Oggi tro- vasi nella cappella Clementina.
I Papi che succedettero furono spesso sepolti presso 1' altare di qualcuno de' loro predecessori, stato dichiarato santo. Così sappiamo che Papa Adriano I (772-795) fu sotterrato presso all' altare di Leone. Carlo Magno, suo amico, gli fece porre da Alcuino quella appassionata iscrizione che leg- giamo ancora incisa in una tavola di marmo nel portico della chiesa di San Pietro, ed è uno dei più antichi monumenti del papato.
EPITAFIO DI ADRIANO I. l
Qui riposa il padre della Chiesa, V onor di Bo- ntà, V illustre scrittore, il beato pontefice Adriano.
1 Vedi le iscrizioni latine alla (ine del volume,
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Dio fu sua vita, sua legge la pietà, sua gloria Cristo ; fu pastore apostolico, pronto a far tutto ciò che fosse bene.
Fu nobile per discendenza di antica e grande stirpe, ma di gran lunga più nobile per le sue sante virtù.
Con animo devoto desiderando il buon Pastore di adornar sempre e in ogni luogo i templi con- sacrati al suo Dio, arricchì le chiese di doni e i popoli di santi precetti, e a tutti aperse la via che conduce al cielo.
Largo verso i poveri, a niuno secondo in pietà, mólto vegliò in sacra preghiera* pel suo popolo.
Onore della città e del mondo, egli, colh sue dottrine, co' suoi tesori, co' suoi edifezi, avea sol- levato le tue torri, o inclita Roma.
A lui nulla nocque la morte, già vinta e uccisa dalla morte di Cristo, anzi gli schiuse la porta di una vita migliore.
Questi versi scrissi io Carlo lagrimando per la morte del padre ; tu fosti il mio dolce amore, te ora piango, o padre.
Tu ricordati di me : il mio pensiero ti seguirà sempre ; tu goditi con Cristo il regno del cielo.
Il clero e il popolo ti amò con grande affetto, tu eri V amore di tutti, o ottimo pastore.
26 LE TOMBE DEI PAPI.
Voglio, o illustre uomo, che i nostri nomi e i nostri titoli sian qui congiunti: Adriano e Carlo; io re, tu padre.
Chiunque tu sia che leggi questi versi, di' con cuore divoto questa, preghiera : 0 Dio misericor- dioso, abbi pietà di ambedue.
Qui intanto riposino le tue membra, o mio di- lettissimo amico, e V anima tua beata goda coi santi di Dio.
Fintantoché lo squillo delV ultima tromba ri- . suoni alle tue orecchie.
Allora risorgerai insieme con Pietro, principe degli Apostoli, per vedere Iddio.
Tu udirai, ne son certo, la voce del gran Giu- dice che ti dirà : Vieni a goder la gioia del tuo Signore.
Allora, o mio buon padre, ricordati, te. ne prego, del tuo figlio e di' ; Venga insieme col padre anche questo mio figliuolo.
Va, o beato padre, ai regni celesti di Cristo, e di là soccorri il tuo gregge colle preghiere.
La tua gloria, o padre santo, durerà nel mondo, fintantoché il sole risplenderà nel cielo.
Adriano Papa, di beata memoria, regnò ventitré anni, dieci mesi, diciassette giorni, morì il settimo giorno innanzi alle colende di gennaio (26 dicembre).
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È questa certamente un' iscrizione di gran va- lore storico, mostrandoci essa sì il carattere di quel tempo, come i sentimenti religiosi di quell'eroe della fede che fu Carlo, il vincitore dei Sassoni pagani e dei Saraceni; eroe che in quei giorni d'in- genua fede fu visto salire in ginocchio i trenta- cinque gradini di San Pietro baciandoli ad uno ad uno. Molto gli deve il papato, essendo egli stato il secondo fondatore della gerarchia cattolica, i cui geni tutelari, nel mondo temporale, furon l'impera- tore Costantino, lui, e la contessa Matilde di Tuscia.
E a lamentare che neppure il tempo di Car- lomagno e del rinnovamento dell' impero romano, epoca tanto grande nella storia dell' umanità, abbia lasciato in Koma alcun altro monumento che lo ricordi. La tomba di Leone III, che incoronò Carlo, non esiste più, poiché questo Papa fu più tardi sepolto insieme con Leone I, II e IV in un sot- terraneo del Vaticano ; ed anche il celebre mu- saico che adornava la tribuna del triclinio, fatto edificar da Leone III nel Laterano, non ci è giunto che in una copia di età molto più tarda, la quale oggi vedesi in una nicchia isolata, addossata alla cappella del Sancta Sanctorum presso il Laterano stesso. Vi è effigiato Cristo in figura colossale, ritto in mezzo agli Apostoli ; questo gruppo cen-
28 LE TOMBE DEI PAPI.
trale è fiancheggiato da due altri : uno rappre- senta Cristo in atto di consegnare all' apostolo Pietro le chiavi, all' imperatore Costantino il la- baro ; nelP altro vedesi san Pietro assiso in trono che porge a Papa Leone III la stola e a Carlo imperatore la bandiera. L' antica iscrizione dice :
BEATE PETRUS DONA
VITA LEONI PPE BICTO
RIA CARULO REGI DONA.
Più numerosi sono i monumenti in mosaico che ci rimangono di Pasquale I (817-824). A lui ap- partengono i tre mosaici che si veggono uno in Santa Prassede, V altro in Santa Cecilia e il terzo nella chiesa di Santa Maria in Domnica sul monte Celio. Tutte e tre queste chiese furai riedificate da questo Papa e fatte adornar di musaici ne' quali volle essere effigiato. I suoi ritratti (figura intiera avente in mano un eclifizio) si rassomiglian perfet- tamente tra loro in tutte e tre le pitture, e ci danno quindi un' immagine senza dubbio autentica del personaggio. È questa una rarità tra quei ri- tratti dei Papi più antichi, che, come ognun sa, adornano, in serie non interrotta da san Pietro in poi, il fregio della chiesa di San Paolo fuor delle mura; e son parto della fantasia non meno arto-
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trario che le teste tipiche di Pietro e Paolo e di tanti altri santi della chiesa cattolica.
V.
Di lì in poi andaron moltiplicandosi col tempo i monumenti in San Pietro : Patrio n' è pieno, ed eran penetrati anche nelP interno. Quivi stavano addossati senza regola alle pareti delle navate, fino a che Pio II Piccolomini fece collocare sul muro laterale a destra della chiesa le tombe, qua e là disperse per V innanzi. Ma di tutti i monumenti contenuti nella basilica di Costantino, prima che fosse riedificata da Giulio II, oggi non ci rimane altro, se non alcune tombe del secolo decimoquinto che ritroveremo in San Pietro. La foga distruggi- trice di quel Papa non risparmiò, nell' abbatter V antica chiesa, neppure le tombe de' suoi anteces- sori. Di pochi monumenti soltanto, che un tempo aveano adornato V atrio e le navate, furon portati almeno i frammenti ne' sotterranei di San Pietro ; e colà ritrovansi oggidì molti sarcofaghi di pietra e alcune iscrizioni sepolcrali del più remoto medio evo. Tra queste la più antica è quella di Bonifa- cio IV (608-615), in rozzi versi leonini, notevole, perchè ci ricorda come quel Papa ricevesse in dono
30 LE TOMBE DEI PAPI.
dall' imperatore Foca il Pantheon, e, purgatolo dai demoni, lo consacrasse a tutti i santi.
I sarcofaghi sono grandi casse quadrangolari di pietra, semplici e senza pompa, spesso senza nessuna scultura sui lati. Sul coperchio è scolpita la figura del Papa nelP atteggiamento rigido di un morto, non già d' un uomo che dorma, come si co- stumò più tardi di rappresentare le figure sepol- crali. Nella testa che posa su d' un cuscino porta la tiara, ed è vestito di stola e pianeta ; le sue mani coperte di guanti sono incrociate sul petto sempre in modo che la destra stia sopra alla sini- stra. Sopra al guanto nel punto di mezzo vedesi un gioiello di forma rotonda, al dito porta V anello papale. Del resto i sarcofaghi dei Papi non si di- stinguono da qualunque altro, né per bellezza, né per ricchezza : Y arte a quei tempi era completa- mente decaduta, ne avrebbe potuto certamente produrre un sarcofago del pregio di quello di Giunio Basso. Perciò per sepoltura dei Papi sce- glievansi volentieri antichi sarcofaghi cristiani ornati eli sculture. Ma tanto eran poveri di propri lavori in scultura, che sin dal più remoto medio evo, vinti gli scrupoli, si valsero di antichi sarco- faghi pagani per urne mortuarie di Papi : par- tito a cui si saranno appigliati forse con mag-
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gior difficoltà che a quello di trasformare antichi sedili da bagni in troni vescovili.
Così dunque i corpi dei Papi chiusi entro que- ste casse si riponevan nei sotterranei ; in San Pie- tro poi s' innalzavano alla loro memoria dei mo- numenti, i cui frammenti oggi si trovano sparsi qua e là pei sotterranei stessi o murati nelle pareti. La perdita di questi antichi monumenti è molto da lamentare. Così è che oggi non ce ne resta nes- suno, né del nono, né del decimo secolo, che se- gnano per Roma e per l' Italia il periodo della più grande barbarie, quando la storia elei Papi ci fa meravigliare pel suo carattere di selvaggio im- barbarimento. Tempi oscuri e terribili in cui do- minò la più tetra energia delle passioni, crudeltà, vendetta e sfrenatezza. Le figure di queir epoca son pesanti e gigantesche, ovvero bizzarre e sel- vaggie. Roma fu allora teatro di aspre lotte fra coloro che si contendevano il papato, posseduto per lo più dai barbari baroni della città o della campagna; e da questo spettacolo l' immaginazione, non che essere attratta, si ritrae con disgusto e spavento. Parlo di quel tempo, quando i Conti tu- scolani signoreggiavano Roma, e alludo a certe figure storiche, quali son quelle di Marozia e delle sue due figlie. Questo è anche il tempo di Cre-
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scenzio, e di qui comincia la storia tristissima di Castel Sant'Angelo, tomba, carcere e fortezza. Si può affermare senza esagerazione non esservi al mondo edifizio che vanti una storia altrettanto tragica e importante, seppur non è il Vaticano. Ambedue questi edifizi messi in continua relazione dallo avvicendarsi degli avvenimenti, s- innalzano l'uno vicino all'altro come i più insigni monumenti dei secoli cristiani in Roma. Questo è anche il tempo dei gloriosi Ottoni tedeschi, da' quali fu la storia d' Italia legata a quella della nostra patria.
E di loro resta in Roma un monumento, cioè la tomba dell' imperatore Ottone II che quivi morì in età di ventotto anni. Questo giovinetto ardito, cavalleresco e infelice può dirsi il precursore di Corradino di Svevia, e la sua memoria è celebrata non meno nella storia che nelle leggende del me- dio evo. Ben si addiceva a lui una tomba in quella Roma che aveva sperato d' innalzar novamente alla dignità di capitale del suo impero e di tutto il mondo. Egli vi morì il 7 dicembre 983 e fu sepolto nelP atrio di San Pietro.1 La sua salma vi riposò tranquillamente fino al 20 ottobre 1609;
1 Ottone di Frisinga, libro 6, cap. 25 : « Ipse vero Otho Secundus nono Imperli sui anno Romce moritur, et ante Divi Vetri Ecclesiam in concita marmorea honorìfice humatur, »
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ma allora, facendo Paolo V abbattere P atrio del- l' antica basilica per innalzar la nuova facciata, fu scoperchiata la tomba imperiale, e vi si trovarono le ossa xli Ottone, minute e delicate, tanto che al vederle se ne conchiuse come egli dovesse esser stato piccolo di statura ; anche il suo cranio era piccolo.1 La cassa marmorea aveva già apparte- nuto ad un antico romano, come vedevasi dai bu- sti di un console e di sua moglie che F adorna- vano ; il coperchio di prezioso porfido proveniva dal Castel Sant'Angelo, ed era stato tolto, a quanto dicevasi, dal sarcofago di Adriano. Cassa e coper- chio furon poi tolti all' imperatore Ottone : quella fu portata nel cortile del Quirinale, e ne fu fatta una fontana, F altro fu trasportato in San Pietro, ove ora serve di fonte battesimale, e porge colle sue strane e significative trasformazioni largo campo di riflessione all' osservatore. Quel porfido fu bagnato un giorno dalle lagrime di Teofania, donna insigne per beltà ed ingegno, moglie di Ot- tone, la quale dalla molle Bizanzio trasportata
1 Torrtgius, Le sacre grotte, pag. 365 riporta la relazione del notaio e testimonio oculare Grimaldi: « Corpus Othonis in ossa redactum crai, parva? statura?, dentes firmos et caput parvum. Fuit sepultum cum dicto labro sub fornice novi pa- vimenti Basilica?, ibique hodie Ì6Ì8, 23 aprilis, ila notavi ego Jacobus Grimaldus qui omnia vidi et ossa sepultura? tradidi. »
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nella Germania, ancor rozza ed incolta a quei tempi, ebbe troppo presto il dolore di perdere in Roma il suo giovane consorte.
Ne1 sotterranei vaticani vedesi oggi un grande arco murato e intonacato di stucco : là dentro son chiuse le ceneri dell' imperatore. Nella parete fu murato un musaico rappresentante Cristo in atto di benedire, seduto sul trono tra gli apostoli Pie- tro e Paolo. È quello stesso che originariamente adornava il sepolcro di Ottone nella sua sede primi- tiva. Merita osservazione una particolarità di que- sto musaico, ed è che san Pietro non tiene in mano due chiavi, come si vede di solito, ma tre. È que- sto un concetto antico e raro che sta, a quel che pare, in relazione col triregno o triplice diadema dei Papi, e probabilmente significa la facoltà di scio- gliere e legare in cielo, in terra e in purgatorio.
Non lontano dal sepolcro di Ottone, troviamo nei sotterranei il sarcofago del primo Papa tede- sco, Gregorio V Bruno (996-999) sollevato alla sede di san Pietro da Ottone III stesso. La tomba di quest' uomo attivo ed energico (è lui che chiude il periodo più antico e barbaro del medio evo, ed inizia il tempo delle riforme di Gregorio VII) è andata anch' essa perduta ; pure il caso ci ha con- servato il suo sarcofago e V iscrizione. Sì V uno
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come l'altra richiamano l'attenzione del visitatore, che silenzioso s' arresta per leggere scritta in an- tichi caratteri e in rozzo latino la storia di quei giorni, gloriosi per la Germania, luttuosi per Roma. Infatti il 29 aprile 998 cadde nelle mani del giovane imperatore Castel Sant' Angelo, e in- sieme con questo Crescenzio, il precursore di Ar- naldo da Brescia o di Cola di Rienzo, e d' animo ben più grande che non fu quest' ultimo. Per lui, dopo tanti secoli, Roma cominciò per la prima volta a ricordarsi di Bruto e di Gracco. Egli aveva scac- ciato da Roma Gregorio V, perciò l'Imperatore, se- condo che attestano tutte le cronache italiane, vio- lando i patti della resa, fecegli troncare il capo nel Castello e gettarne il cadavere dai merli.1
1 Riporto qui sulla fede del Baronio e dell' Ugonio 1' an- tica iscrizione che trovavasi nella chiesa di San Pancrazio sulla Via Aurelia e che sembra avere appartenuto a questo Crescen- zio. Ora non e' è più, ed io ne ho cercato inutilmente le trac- ere presso i frati del convento :
Vermis homo, putredo, cinis, laqueario, queerìs,
His aptandus eris sed brevibus Gyaris. Qui tenuit totani feliciter ordine Romam, His latebris tegitur pauper et exiguus. Pulcher in aspectu dominus Crescentius et dux
ìnclyta progenie» quem péperit sobolem. Tempore sub cujus valuit Tyberinaque tcllu8,
Jus ad Apostolici valde quieta stetit. Nani fortuita swos converta lusibus annos Et dedit extremum finis habere tetrum. Sorte sub hac quisquis vitm spiramina carpisy Da vel huic gemitum, te recolens socium.
36 LE TOMBE DEI PAPI.
Anche Gregorio V, come il suo cugino Ottone, morì giovane, in età di ventisette o ventotto anni, dopo due anni e cinque mesi di tumultuoso pon- tificato; forse fu avvelenato, come poco appresso Ottone III che lo aveva fatto seppellire a destra di Gregorio I, circostanza a cui allude P ultimo verso dei barbari distici del suo epitafio. Il suo sarcofago, che è molto lungo, è di marmo bianco con grossolani rilievi de1 più antichi tempi cri- stiani, ne' quali vedesi effigiato Cristo in sembianze giovanili, che porge a Pietro le chiavi. L'iscrizione dice così :
EPITAFIO DI GREGORIO V. :
Quegli che qui è chiuso in terra, belìo tV occhi e di volto fu papa Gregorio, quinto del suo nome.
Prima si chiamò Bruno, della stirile dei Fran- chi, figlio di Ottone e di Giuditta.
Tedesco per lingua, educato nella città di Vuan- gia,2 giovane ancora s' assise sidla sedia apostolica.
Vi rimase due anni e circa otto mesi, contan- dovi diciotto giorni di febbraio.
1 Vedi le iscrizioni latine alla fine del volume.
2 Vangià è Vorms. Quest'antica ed illustre città ha l'onore di possedere tutta una lista di nomi: Vormatia, Gormetia, Guar- irmela, Borbitomagus, Vangio, Vangiona e Augusta Vangionum.
PRIMA SERIE. 37
Ricco pei poveri, ogni sabato distribuì vesti, tante in numero quanti furon gli Apostoli.
Conoscendo la lingua dei Franchi, la latina e la volgare, ammaestrò i popoli in tre idiomi.
Il terzo Ottone gli affidò V ovile di Pietro, ed egli stesso dalle mani del suo congiunto fu consa- crato imperatore.
E spogliato che fu dai vincoli della carne terre- na, lo collocò a destra del suo omonimo antecessore.
Morì il giorno dodicesimo innanzi alle colende di marzo (18 febbraio).
VI.
Ecco un altro Papa col quale la vita di Ot- tone III fu in istretta relazione : Silvestro II, il primo francese che salisse sulla sedia di san Pie- tro. Gerberto, monaco benedettino, poi arcivescovo di Rheims, uomo che in accortezza ed ingegno su- perava ogni altro del suo tempo, insigne matema- tico, astrologo e sofista, avea saputo guadagnarsi l'animo e il favore di Ottone. Dopo la morte di Gregorio V, dall' arcivescovato di Ravenna confe- ritogli da quel Papa, dopo la sua deposizione dalla sede vescovile di Rheims, l' Imperatore lo sollevò al trono pontifìcio.
38 LE TOMBE DEI PAPI.
Rheims, Ravenna, Roma sono pertanto le tre sedi vescovili alle quali egli ascese runa dopo T altra, e si racconta che egli stesso alludendo ai tre R come lettere mistiche del suo destino com- ponesse il seguente verso :
Scandii ab R Gerbertus ad R, post Papa v'igei R.
La leggenda del medio evo si è impadronita della sua figura, e ne ha fatto, cosa abbastanza strana per un Papa, un mago, un tipo di Fausto. La sua scienza meravigliosa nella matematica e nella meccanica (a Magdeburgo mostravasi ancor lungo tempo dopo un orologio solare da lui co- strutto) doveva a queir età parer soprannaturale,1 e nel corso della sua vita piena di vicende e d'in- trighi, attraverso il quale giunse alla fine sul trono papale, si credette scorgere V aiuto del demonio. La nota cronica di Martino Polono da Cosenza, libro che per molti rispetti fa riscontro ai Mira-
1 Ciaconius, Vitce Pcmtif., nella vita di questo papa ri- porta il seguente epigramma da un manoscritto dell' Altem- priana De Romanis Pontificibus.
Ne mirare Magum fatui quod, inertia vulgi
Me (veri minime gnara) fuìsse jmtat Archimedi/* studium quod crani soplnceque secutvs
Tum, cum magna futi gloria, scire niliil. Credehat magicum esse rudcs, sed busta loquuntnr
Quam plus, integer et religiosità eram.
PRIMA SERTE. 39
bilia Romce, racconta con ingenua fede questa leg- genda diabolica. Gerberto, die1 egli, spinto dall'or- goglio e da una. sete infernale di dominare, ottenne dapprima mediante corruzione l'arcivescovato di Rheims, quindi quello di Ravenna, e finalmente, con temerario ardire e coir aiuto del diavolo, il pontificato, ma a patto che dopo morte egli apparterrebbe a colui per la cui astuzia aveva ottenuto sì alta dignità. Quando poi Gerberto, avido di regnare, domandò al diavolo per quanto tempo egli avrebbe vissuto come Papa, il nemico del genere umano gli rispose ambiguamente, com' è suo costume : Se tu non entri in Gerusalemme, vivrai lungamente. Eran passati quattro anni, un mese e dieci giorni, dacché aveva ottenuto il pon- tificato, quando officiando nella basilica di Santa Croce in Gerusalemme in Roma, riconobbe ad un tratto il suo destino e la sua morte imminente; laonde pentitosi, confessò dinanzi al popolo le sue colpe, raccomandò a tutti di rinunziare all' ambi- zione e alle concupiscenze ispirate dal diavolo, e di condurre una buona e santa vita. Pregò inoltre tutti gli astanti che quando fosse morto, fatto in pezzi il suo cadavere, coni' ei si meritava, lo ca- ricassero su d1 un carro a due ruote, e lo sotter- rassero colà dove i cavalli abbandonati a sé stessi
40 LE TOMBE DEI PAPI.
lo avrebbero trasportato. Ora, prosegue la leg- genda, affinchè i peccatori sappiano che la mise- ricordia di Dio è pronta ad aprir loro le braccia, quando si sian pentiti in vita, avvenne che i ca- valli guidati dalla Divina Provvidenza s' indirizzas- sero da per loro alla basilica lateranense, e quivi il cadavere di Gerberto ebbe sepoltura. Lo stesso Martino scrive : Da quel tempo in poi, quando in quella tomba si sentono scricchiolar le ossa, o ve- desi coperta di un umido velo come di sudore, si ha un pronostico infallibile della morte di un Papa, e V iscrizione stessa lo dice : « Se ciò sia vero o no, lo veggano i Papi a cui importa. » Queste son le parole del Platina, autore delle notissime vite dei Papi, vissuto in sul finire del secolo decimo- quinto. Vedremo tra poco che la favola dello scric- chiolar dell' ossa, presagio della morte d' un Papa, fu originata dall' aver franteso il primo distico del- l' epitafio. Questa iscrizione poi, doppiamente im- portante, si legge tuttora nella basilica lateranense, ma la tomba di Silvestro è distrutta.
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EPITAFIO DI SILVESTRO II.1
Questa terra renderà al Signore, quando Ei verrà al suono delle trombe, il corpo di Silvestro qui sepolto.
Quest'uomo celebre dato al mondo dalla più dotta vergine, dalla città di 'Romolo, capo del mondo,
Gerberto, meritò dapprima in una sede fran- cese di governar la metropoli di Rheims, sua patria.
Quindi meritò di ascendere al sommo governo della chiesa di 'Ravenna, e così divenne potente.
Dopo un anno, mutando il nome, ebbe Roma, e divenne nuovo pastore di tutto il mondo.
Tale dignità gli fu conferita dalV imperatore Ottone III, suo amico fedele, a cui egli fu molto accetto.
Ambedue furono d' ornamento al lor tempo collo splendor della loro sapienza : tutto il mondo per loro si rallegra, ed ogni malvagità è abbattuta.
Egli s' era acquistato la sede del cielo a mo' del- l' apostolo che porta le chiavi, al cui posto egli era stato per tre volte eletto pastore.
Poiché ebbe preso il posto di Pietro, abbandonò la vita dopo lo spazio di un lustro. •
1 Vedi le iscrizioni latine alla (ine del volume.
42 LE TOMBE DEI PAPI.
Allora il mondo rimase colpito di stupore avendo perduta la pace, e vacillando dimenticò il riposo e i trionfi della chiesa.
Il sacerdote Sergio, suo successore, con animo pio adornò questa piccola tomba in segno del suo amore verso di lui.
Chiunque tu sia che volgi gli occhi a questa tomba, di' : 0 Dio onnipotente, abbi pietà di lui.
Morì V anno dell'incarnazione del Signore 1003, indizione prima, ai dodici di maggio.
Silvestro, il quale, a testimonianza di questa iscrizione, fu onorato di un monumento da un de' suoi successori, Sergio IV, non fu il primo Papa sepolto in Laterano. Dacché infatti Ser- gio III (904-911) avea fatto ricostruire l'antica basilica lateranense eli Costantino, madre e capo di tutte le chiese di Roma e della Cristianità, di cui ciascun Papa prende solenne possesso dopo la sua consacrazione, era già da un pezzo costume di seppellirvi Papi, dapprima nell'atrio poi nel- l' interno. Neil' undecimo e dodicesimo secolo si scelse di preferenza il Laterano, forse perchè i Papi lì abitavan di solito, più probabilmente per- chè nelle turbolenze da cui era sconvolta Roma ritornata repubblica, a loro non era rimasto altro
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che quella chiesa, San Pietro essendo ordinaria- mente in mano dell' antipapa e del partito con- trario.
Anche quelle tombe del Laterano sono scom- parse e con esse i monumenti di un periodo sì importante della storia di Roma. La bella basilica di Sergio fu devastata dal fuoco Panno 1308; ap- pena era stata rifabbricata da Clemente V, che Panno 1360 andò di nuovo in fiamme. Quanto poi era stato risparmiato dagP incendi o dalla ricostru- zione di Clemente, andò completamente in rovina quando il Laterano fu riedificato sotto Urba- no V (1362-1370). Scarsi avanzi degli antichi mo- numenti si veggono oggi nel chiostro, altri dietro la tribuna della chiesa, tra questi ultimi le statue arcaiche degli apostoli Pietro e Paolo e la figura inginocchiata di non si sa qual Papa, certamente resti di qualche sepolcro.
VII.
Dopo Silvestro e Sergio vennero tempi turbo- lenti e calamitosi per la Chiesa, prendendo la potestà temporale il sopravvento sulla spirituale. La sede apostolica, divenuta preda dei partiti, con- ferivasi ormai unicamente a volere delP imperatore
44 LE TOMBE DEI PAPI.
tedesco. Fu l' energico Enrico III che riportò questa vittoria, quando nel sinodo di Sutri ebbe fatto de- porre i tre Papi rivali, Gregorio VI, Benedetto IX e Silvestro III. Di lì in poi egli innalzò al trono quattro vescovi tedeschi l'uno dopo 1' altro, uomini pieni di merito e d' attività, ai quali la Chiesa cat- tolica deve molto : Clemente II Suidger sassone, Damaso II Boppo bavarese, Leone IX Bruno alsa- ziano e Vittore II Gebhard del Tirolo.
Clemente fu incoronato Papa il giorno di Na- tale dell'anno 1046, e il giorno stesso in Roma pose la corona imperiale sul capo d' Enrico e della sua sposa Agnese. Poco dopo morì a Pesaro, il 9 ottobre 1047, eli veleno, a quel che si dice.
Il suo corpo fu trasportato al suo arcivesco- vato di Bamberga, dove gli fu innalzato il monu- mento. Ed è lui 1' unico Papa che sia sepolto in Germania, poiché Benedetto V Grammaticus, sep- pellito in Amburgo 1' anno 965, più tardi fu tra- sportato in Roma.1
Damaso II succedette a Clemente, e dopo un regno di soli 23 giorni morì gli 8 di agosto in Palestrina, e fu sotterrato in San Lorenzo fuor delle mura.
3 II suo sepolcro è riprodotto dal Papebroch nel 6° vo- lume dei Bollandisti, mese di maggio, pag. 186.
PRIMA SERIE. 45
Il suo successore Leone IX regnò più di cinque anni (1049-1054), fu uomo non comune, pieno di forza e vivacità, amico ci' Ildebrando, da lui creato cardinal diacono di San Paolo, zelante riforma- tore, e durante il suo pontificato occupato senza posa in viaggi sia in Germania, sia in Francia, sia in Italia. Fu il primo Papa che assoldasse un suo proprio esercito, eh' egli stesso condusse contro Benevento per toglier questa città ai Normanni, allora appunto stanziatisi nelP Italia inferiore, La battaglia di Civitella, che ne seguì il 18 giugno 1053, fu un avvenimento importante. Il Papa stesso cadde nelle mani dei valorosi figli di Tancredi, i quali gettatisi ai piedi del loro prigioniero, implorarono umilmente il suo perdono, e condotto che l'ebbero con ogni onore a Benevento, dal nemico vinto si fecero concedere in feudo la Puglia, e così diven- nero vassalli della Chiesa romana. Questa batta- glia di Civitella e la pace di Benevento sono scene interessantissime sì della storia di quei cavalle- reschi avventurieri, come della vita di quei saggi Pontefici. Il Santo Padre vinto tornò in Roma come vincitore, e poco dopo morì il 19 aprile 1054, colla fama d' un vero pastore apostolico e degno del nome che portava ; poiché sì il nome di Leone come quello di Gregorio, da poche eccezioni in
46 LE TOMBE DEI PAPI.
fuori, fu sempre portato dai più attivi ed ener- gici Papi.
Leone IX fu sepolto in Vaticano accanto all'al- tare di Gregorio I; ma, quando Panno 1605 fu ritro- vato il suo sarcofago marmoreo, fu tumulato sotto un altro altare nella chiesa di San Pietro. Sulla sua tomba si leggeva un tempo questo bel distico :
La vincitrice 'Roma e in pianto, trovandosi ve-, dova del nono Leone e senza speranza di trovar tra molti un padre siffatto,1
Tre dei successori di Leone, cioè Vittore II, Stefano IX e Nicolò II, son sepolti in Firenze, tutti e tre essendo colà morti nel breve spazio di quattro anni.
Ed anche il più grande di tutti i Papi, il vero fondatore del dominio temporale, V eroe della ge- rarchia, Gregorio VII Ildebrando, non ha la sua tomba in Roma. Fuggendo dall' imperatore En- rico IV, che dianzi egli aveva tanto umiliato, e dai Romani sollevati, morì in Salerno il 25 mag- gio 1085 presso il suo difensore Roberto Guiscardo. Fu sepolto nella bella cattedrale di quella città in una cappella che più tardi Giovanni da Procida,
1 Victrix Roma dolet iìoìio vicinata Leone
Ex inalila lalem ìion habitura palrem.
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molto innanzi ai Vesperi siciliani, quando era an- cora consigliere di re Manfredi, fece dipingere, sic- come attesta V iscrizione che si legge sotto agli affreschi. Sotto V altare riposano le ossa d' Ilde- brando, sopra s' innalza la sua statua di marmo, lavoro d' età molto tarda e senza nessuna espres- sione. E così il Papa dei Papi riposa lontano da Roma in un modesto monumento, mentre a que- sto o quel!' erede dappoco della sua potenza fu- rono eretti fastosi mausolei.
Chi visitando il duomo di Salerno si ferma dinanzi al sepolcro di Gregorio, prova sentimenti di natura diversa. Esso, come le tombe di Lutero, di Colombo o di Napoleone, occupa un posto nella storia dell' umanità e segna un' epoca del- l' incivilimento. Ma questo luogo venerando per un cattolico, e forse più sacro che la tomba di qual- sivoglia altro Papa, fa un' impressione penosa al filosofo e allo storico, come quello che ricorda una natura energica, ma ristretta e dispoticamente pre- potente. E che un tal uomo possa essere accusato di sfrenata ambizione, lo prova il fatto, che tutti i suoi sforzi furon diretti a far del mondo un posse- dimento del Papa, a far del clero una casta nemica della civiltà. E dato anche che a ciò fosse spinto da un impulso d' un ordine più elevato, pur tut-
48 LE TOMBE DEI PAPJ.
tavia queste mire tendono a scopi temporali, e in luogo della religione divengono fine ultimo le isti- tuzioni clericali.
Gregorio VII, uomo degno d' ammirazione per la tenacità del suo volere, per la costanza incrol- labile, alla quale dovette la vittoria, fu tuttavia più grande per le sue qualità negative, che per quella forza creatrice che dà origine ad una nuova civiltà. Ma di fronte al re Enrico la sua altezza morale ci fa stupire, e un principe coperto di mi- sfatti, da chi giudica imparzialmente, sarà veduto più volentieri nel sacco del penitente che sul carro trionfale.
Eppure v' hanno nella vita di Gregorio dei contrasti strani. Quello stesso Papa che faceva tremare il mondo, non riuscì mai a tenere a se- gno la sua città di Roma. Quegli dinanzi alla cui porta un re scalzo, nel cuor dell' inverno, avea implorato perdono, come un miserabile peccatore, fu esso stesso dai poco devoti Romani strappato dall' altare della chiesa di Santa Maria Maggiore la vigilia di Natale, e trascinato per Roma a fu- ria di pugni e calci, con disonore non suo ma dei percussori, fu rinchiuso in una torre. Finalmente egli stesso che non perdette mai di dignità, fu assediato nella mole Adriana, fino a che Roberto
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Guiscardo venne a liberarlo ; e un sì gran Papa morì esule pronunziando queste parole : « Ho amato la giustizia, odiato l' iniquità, perciò muoio in esilio. »
Di Gregorio VII non si trova nessun' iscri- zione, eppure non deve esser mancata sul monu- mento che Roberto Guiscardo eresse al suo amico.1
L'anno 1573 si cercò il suo cadavere, e fu rinvenuto ancora mediocremente conservato ; fu al- lora tumulato nella detta cappella, e postagli T iscrizione inconcludente che e' è oggi.
Per altro è cosa da destar giustamente ma- raviglia che i resti di un tal Papa non siano stati trasportati in Roma, e non gli sia stata innalzata
1 Alfano di Salerno scrisse un inno indirizzato a Grego- rio prima che divenisse papa :
Ad Hildebrandum Àrchidiaconum. Vi si leggono i se- guenti versi :
Quanta vis anathematis ? Quidquid et Marius prius, Quodque Julius egerant Maxima nece militum, Voce tu modica facis.
Roma quid Scìpionibus Ceterisque Quiritibus Debuit mage quam Ubi, Guius est studiis suoi Nacta vis potentiw ?
Gl'inni di Alfano sono riprodotti nel tomo X dell' Italia Sacra dell' Ughelli.
50 LE TOMBE DEI PAPI.
una tomba in San Pietro, dove pure alla sua amica la contessa Matilde di Toscana fu conceduto un luogo di riposo ed un monumento. Fu Urbano Vili che dal chiostro di San Benedetto di Mantova fece trasportare in Roma le ceneri di lei, e commise al Bernini il sepolcro che questi eseguì di sua propria mano. In una nicchia della navata destra sorge la sua statua, opera che non si guarda senza diletto, essendo per semplicità e buon gusto delle migliori che siano uscite di mano a quelP artista. La fondatrice dello Stato della Chiesa è rappre- sentata in figura di una bella giovinetta; tiene in mano la corona papale e le chiavi di Pietro, come s' ella fosse il Genio della gerarchia. Il rilievo in marmo sotto alla statua rappresenta la scena di Canossa. Diciamo a questo proposito che anche gli altri due geni tutelari della signoria temporale dei Papi, hanno ottenuto in Roma un monumento di riconoscenza. Infatti nelP atrio del Laterano oggi sorge una statua di Costantino il Grande, molto incerta, sebbene antica, e nel portico di San Pietro stesso vedesi Carlo Magno a cavallo, lavoro tutto svolazzi del tempo del Bernini.
Si vuole che Gregorio stesso in punto di morte designasse il suo successore, o che almeno fra i tre da lui proposti i cardinali eleggessero Desiderio.
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Fa questi Vittore III (1086-1087), uomo di me- rito non comune. Dalla bella Salerno elove era morto Gregorio, egli ora ci trasporta nel celeber- rimo monastero dei Benedettini di Monte Cassino,1 di cui fu abbate e che amò con maggior passione che il trono papale. Discendente dalla stirpe de' principi longobardi di Benevento, egli per amor dello studio e della vita claustrale rinunziò al mondo, e strinse indissolubile legame d' amicizia col poeta Alfano, discendente dei principi longo- bardi di Salerno. Tutti e due si fecero benedettini; Alfano divenne più tardi arcivescovo di Salerno. In questa città incantevole, vero lembo di cielo in terra, su d' una riva tranquilla che è un paradiso, avevan fermato da un pezzo la loro dimora le muse della scienza e della poesia, mentre tutto il resto d'Italia ancora taceva. Quando Tanno 1077 ap- parve dinanzi a lei Roberto Guiscardo con navi amalfitane, la conquistò e ne scacciò V ultimo duca longobardo Gisulfo ; e tre anni dopo vi costruì in onore eli san Matteo il celebre duomo che Alfano, suo primo arcivescovo, abbellì di musaici. Quivi
1 II monastero di Monte Cassino, il più insigne tra tutti i monasteri del mondo, fondato da Benedetto stesso sulle ro- vine del tempio d' Apollo ha conservato viva sino ad oggi la fiamma di Minerva come ai giorni di Paolo Diacono. Il dotto padre Tosti ne ha scritto la storia.
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morì Alfano il 9 ottobre 1085 ; e fu sepolto vi- cino al suo protettore Gregorio che poco tempo innanzi egli stesso avea riposto nella tomba. An- che il gran Roberto Guiscardo, che fu amico di tutti e due, era morto nello stesso anno, il 17 lu- glio 1085 nell'isola di Cefalonia.1 L'immaginazione si distacca a fatica da Salerno e dalle affollate me- morie di quei tempi.
Desiderio, o meglio Dauferio col suo nome lon- gobardo, era già da un pezzo abbate di Monte Cassino. Ma il 24 maggio dell'anno 1086, cioè dopo un anno d' interregno nella sede apostolica, i cardinali lo elessero, o, a dir meglio, lo costrin- sero a divenir Papa. Quattro giorni dopo la sua elezione, egli se ne fuggì da Roma per ritirarsi nella solitudine studiosa di Monte Cassino. Ma fu di nuovo forzato a riprender la corona papale in Capua il 21 marzo 1087, e quindi il 9 maggio fu consacrato in Roma. Pure ritornò novamente a Monte Cassino dove non permise che in suo luogo si eleggesse un altro abbate. Così nella sua breve
1 II Baronie* ci dà l'epitafìo superbo di Roberto Guiscardo che una volta si leggeva in Venosa :
Hic terror mundi Guiscardus. Hic expulit Urbe Quem Ligures regem, Roma, Alemannus habet. Parthus, Arabs, Macedumque phalanx non texit Alexìm, At fuga ; sed Venetum nee fuga, nec j^ìagus.
PRIMA SERIE. 53
carriera di Papa noi lo vediamo andare e venir dal suo diletto monastero, come un uccello che svolazza desiosamente intorno al nido donde fu scacciato. E quivi morì improvvisamente il 16 set- tembre 1087 dopo avere ordinato che lo seppel- lissero nel Capitolo del convento. Par certo che questo Papa, anziché pel favoleggiato veleno di En- rico IV, morisse logorato dal desiderio della sua pacifica cella, tanto che P onore di contener la sua tomba meritamente s' appartiene al bel mona- stero ne' cui giardini si videro un tempo re e prin- cipi reali maneggiar la zappa, vestiti della tonaca. Quei dotti monaci composero per lui un' iscri- zione in ottimo ed elegantissimo latino.
EPITAFIO DI VITTOEE III. 1
Se alcuno vuol per avventura sapere chi sia siato, e che cosa, e quale, e quanto grande, potrà apprenderlo dagli aurei scritti.
La mia stirpe fu principesca, Benevento fu mia patria, Desiderio il mio nome e, tu, o Gassino, la mia gloria.
Lasciando la mia sposa intatta, la madre, la
1 Vedi le iscrizioni latine alla fine del volume.
54 LE TOMBE DEI PAPI.
patria, i congiunti, qui venni a ritirarmi, e mi feci monaco.
Dipoi eletto abbate, cercai in quel tempo di rinnovar questo luogo, come ora si vede.
Frattanto era divenuto illustre nella città di Roma e prete della tua chiesa, o beato Pietro.,
Dopo aver sostenuto questf onore per sei lustri, meno un anno, salgo vincitore sul trono apostolico.
Scorsi appena quattro mesi e mezzo, in età di dodici lustri io morii, e qui fui sepolto.
Neil' ultimo mio giorno trovavasi il sole nel se- gno della Vergine, quando Dio, il vero sole, mi tolse di qui.
Vili.
Abbracciando con uno sguardo la serie dei Papi che vennero poi, noi troveremo che sino al fine del dodicesimo secolo la più gran parte di loro furon sepolti nel Laterano. Cerchiamovi innanzi tutto la tomba di Urbano II, colui che V anno 1095 a Clermont in Francia predicò la prima crociata. Non troveremo alcun monumento che ci parli di lui, anzi non si sa neppure se sia stato sepolto in Vaticano o in Laterano, quel che è certo, è eh1 egli morì in Roma il 29 luglio 1099.
PRIMA SERTE. 55
Nel Laterano riposa Pasquale II, noto per le sue contese con Enrico V. Vi è sepolto altresì Innocenzo II, Gregorio per nome di battesimo, ro- mano dell' antica famiglia trasteverina Papareschi, quello stesso che cacciato dall'antipapa Anacleto fuggì in Francia dal re Luigi VI. Fu così il quinto Papa che andò a cercar da lui aiuto e difesa con- tro i Romani, essendosi già prima di lui ricove- rati in Francia Urbano II, Pasquale II, Gelasio II e Calisto IL
Innocenzo, dopo una vita continuamente erra- bonda, morì finalmente in Roma il 24 settem- bre 1143, non mica in pace, anzi per lo spavento cagionatogli da un' improvvisa sollevazione dei Ro- mani. Le dottrine di Arnaldo da Brescia ne aveano già da un pezzo infiammati gli animi, tanto che sollevatisi allora come un sol uomo ristabilirono nel Campidoglio deserto la Repubblica, un Senato ed un Patrizio, restringendo l'autorità del Papa allo spirituale. Quanti avvenimenti in quel tempo memorabile ! Quanto bene spenderebbe le sue fa- tiche lo storico che imprendesse a descriverli ! Innocenzo fu sepolto in Laterano nell' urna di por- fido dell'imperatore Adriano. Così questa fu di- visa tra un Papa e un Imperatore tedesco ; si ri- corderà infatti come il coperchio del sarcofago
56 LE TOMBE DEI PAPI.
d3 Adriano chiudesse la tomba d3 Ottone IL Di- sgraziatamente l'incendio della basilica Latera- nense distrusse questa tomba: la magnifica urna di porfido fu spezzata dalla travatura che cadde ; i rottami furon gettati nel cortile della chiesa; il cadavere del Papa fu trasportato in Santa Maria in Trastevere e quivi sotterrato. Questa superba basilica era stata riedificata da Innocenzo II l'anno 1139 ed adorna di musaici sì all'esterno, nella gola della facciata, come nelP interno. Nella tribuna vedesi effigiato questo Papa in atto di tenere in mano un edifizio.
Di un tempo così tempestoso non ci rimane alcuna iscrizione, alcuna tomba. Fu risparmiato soltanto Adriano IV e il suo sarcofago, rozza urna di granito orientale, che ora ne' sotterranei di San Pietro attira a sé lo sguardo del visitatore, essendo V unico monumento che ci rimanga di quel- V età barbara e insanguinata. Adriano IV, Break- speare, è l'unico inglese che sia salito sul trono papale. Il che sembrerà strano, quando si pensi esservi stati dei re d' Inghilterra i quali vestirono in San Pietro V abito del monaco, e che essi, mo- strandosi più devoti di ogni altro sovrano, paga- vano alla Chiesa romana il denaro di San Pietro come tributo del loro paese. Adriano era nativo
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di Langleac, nella contea di Hertford, veniva su dal nulla, bello d'aspetto, di carattere ostinato e impetuoso, degno antecessore di Alessandro III. Fu lui che fece bruciare in Roma Arnaldo da Bre- scia, e che per ricompensar il gran Federico Bar- barossa del consenso dato a quest' atto di vendetta, lo incoronò in San Pietro. Il primo settembre 1159 questo Papa morì in Anagni.
Il suo sarcofago, appartenuto già ad un antico romano, come provano i bucranii scolpiti sul co- perchio e sul dinanzi, porta scritte queste sem- plici parole : Hadrianus Papa IV.
Non esiste più neppure P antico sepolcro del suo gran successore, delP acerrimo nemico di Fe- derico Barbarossa, Alessandro III (1159-1181). Questi morì in Civita Castellana il 30 agosto 1181, e fu sepolto in Laterano. Più tardi Alessandro VII, Chigi, suo compaesano, essendo anch' egli nato in Siena, gì' innalzò un monumento commemorativo nella navata destra di quella basilica. È un' opera mostruosa della decadenza, e assolutamente inde- gna di quel Papa. Il suo ritratto, chiuso in un medaglione, è appoggiato su d'un sostegno quasi cilindrico in marmo nero, di pessimo gusto, in cui è incisa una lunga iscrizione. Sfarzosamente ricca è la decorazione architettonica di quest' opera biz-
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zarra, fiancheggiata di qua e di là da due colonne (V alabastro che riposano su d' un basamento di giallo antico. Ma questo Papa è stato più degna- mente glorificato, con tutto il fasto della Chiesa trionfante, nella Sala Regia del Vaticano. Quivi un affresco del Vasari lo rappresenta nella famosa scena di Venezia, nelP atto che assiso sui gradini di San Marco mette il piede sul collo dell' impe- ratore Federico, andato colà per far pace colle città lombarde e colla Chiesa. Così almeno vuole la tradizione che attribuisce al Papa quelle su- perbe parole : Io camminerò sui serpenti e sui ba- silischi, e calpesterò il leone e il dragone. Al che V umiliato imperatore avrebbe risposto : non Ubi sed Tetro ; E il Papa di rimando : et mihi et Tetro. La leggenda è immaginata perfettamente secondo lo spirito della gerarchia. La medesima scena, del resto, vedesi dipinta, per mano di Fe- derico Zuccari, nel palazzo dei Dogi a Venezia in un affresco migliore che non sia quello del
Vasari.
Dopo la morte di Alessandro, i Romani scac- ciarono il suo successore immediato Ubaldo Allu- cignoli, nobile lucchese, che prese il nome di Lu- cio III (1181-1185). Prima della sua elezione egli era cardinal vescovo (V Ostia. Morì in esilio a Ve-
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rona, e nel duomo di quella città ebbe la tomba sulla quale fu incisa questa malinconica iscrizione:
EPITAFTO DI LUCIO III
0 Lucio, Lucca ti diede i natali, Ostia il ve- scovato, Roma il papato, Verona la morte.
Anzi Verona ti die la vera vita, Roma V esilio, Ostia affanni, Lucca la morte.
Morì il SS. Padre Papa Lucio III V anno 1185 il giorno venticinquesimo.
Neppure Urbano III (1185-1187), milanese, eletto al pontificato in Verona, potè metter piede in Roma, morì anzi in Ferrara il 19 ottobre 1187. La sua tomba, magnifico sarcofago sostenuto da quattro colonne, sorge nel duomo di quella città. Il suo successore Gregorio Vili, dopo un regno di appena due mesi, morì in Pisa e fu sepolto nel duomo, ma la sua tomba fu distrutta dall' incen- dio del 1600.
Ora troveremo di nuovo due Papi sepolti in Laterano, cioè Clemente III e Celestino III, ma senza alcun monumento. Così ancora nessun monu- mento di Roma ci ricorda quelle grandi lotte dei
1 Vedi le iscrizioni latine alla fine del volume.
60 LE TOMBE DEI PAPI.
Papi, cogli Hohenstaufen, seppur non è P antica e singolare statua di Carlo d' Angiò, dai Romani in- nalzata sul Campidoglio a quel principe sanguina- rio, dopo che P ebbero nominato senatore. Infatti il grande Innocenzo III Conti (1198-1216) il tu- tore di Federico II, quegli che lo chiamò al trono imperiale, e creò così il più potente nemico del papato, è sepolto in Perugia dove morì il 16 lu- glio 1216. Colà nel duomo di San Lorenzo un'urna sostenuta da un basamento racchiude le sue ceneri insieme con quelle eli Urbano IV e di Martino IV. Onorio III Savelli (1216-1229) è sepolto a Roma in Santa Maria Maggiore presso l'altare del Santo Presepio. Quest' uomo insigne, figlio di Aimerico della nobile famiglia romana dei Savelli, si chiamò per nome di battesimo Cencio. Fu edu- cato in Santa Maria Maggiore, e quivi divenne ca- nonico, e poi camerario o cancelliere sotto Cele- stino III. Egli è senza dubbio P autore di quel celebre codice che si conserva nella Vaticana sotto il nome di Cencius Canwrarkts, opera di grand' im- portanza per la storia di Roma nel medio evo. Nel suo pontificato approvò P ordine dei Domeni- cani il 20 dicembre 1216, e quello dei France- scani per la seconda volta P anno 1223. Che tempi furon quelli ! La guerra degli Albigesi, gP impera-
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tori latini in Costantinopoli e Federico II ! Ma non ci rimane alcun monumento che ce li ricordi, se non qua e là per le chiese di Roma qualche la- pide sepolcrale con iscrizione mezzo cancellata. Così ne' sotterranei del Vaticano una pietra mu- rata nella parete, in mezzo agli oscuri sarcofaghi dei Papi, rammenta al pellegrino il tempo dei tro- vatori e degli Albigesi di Provenza. Vi si leggono queste parole :
Qui giace Almerico conte di Monforte, conno- stabile di Francia. Combattè più volte per la fede cattolica contro gli Albigesi. Dipoi passò il mare per recarsi nelle parti di Sorla contro l Saraceni, dai quali fu fatto prigione in guerra e lungamente ritenuto in cattività, finalmente liberato nella tre- gua, mentre ritornava in patria, morì In Otranto Vanno del Signore 1241.1
Gregorio IX Conti (1227-1241), il nemico mor- tale di Federico, fu sepolto ih Vaticano. Inno- cenzo IV Fieschi conte di Lavagna (1243-1254) il
1 Hic jacet Amour icus comes Montis Fortis, Francia? coìiìiestabìlis. Contro, Albigenses prò fide catholica scepius dimicavit. Postea contro Sarracenos ad partes Syrice trans- fretavit, a quibus in bello captus fuit, et diu in ea captivi- tote detentus, tandem per treugam lìberalus, dum rediret od propria apud Hidruntum expiravit anno Bora. i^Ai.
02 le tombe dei papi.
quale nel celebre sinodo di Lione ebbe P ardire di deporre l' imperatore, e visse tanto da vederne la morte, riposa nella cattedrale di San Gennaro a Napoli. Quivi F arcivescovo Umberto di Montorio gF innalzò un superbo monumento Fanno 1318.11 Papa, una bella e imponente testa, dai lineamenti risoluti sebbene alquanto grossolani, cinto di tri- plice corona riposa coricato sul sarcofago. La tomba, elegantemente adorna di musaici, s' innalza a parecchi piani, e termina in un arco dentro il quale vedesi dipinta la Madonna col Papa e F ar- civescovo inginocchiati in atto di adorazione.
Una doppia iscrizione in versi e in prosa ce- lebra le glorie del morto :
EPITAFIO d' INNOCENZO IV. !
Qui riposa sepolto da gran tempo Leto dei Fie- schi, Papa benigno e degno del cielo.
Uomo pio e giusto, ricoperto cV un velo di santità.
Essendo già il mondo traviato e afflitto da mi- sfatti, per poter meglio governare e raddirizzare la città santa, tenne un concilio, e ristabilì le antiche leggi
1 Vocìi le iscrizioni latine alla fine del volume.
PIUMA SERIE. 63
Allora V eresia fu schiacciata e tagliata via.
Tenne a dovere le città, e rettamente governo quello che gli era stato affidato.
Abbattè V inimico di Cristo, quel serpente di Federico.
Genova gode di un suo figlio sì glorioso ;
Anche hi, o Partenope, lo sollevi con immense lodi, tu bella abbastanza pé tuoi pregi, fosti da lui ricolma di doni.
Umberto Metropolita pose questa iscrizione.
La prosa dice:
a innocenzo iv pontefice massimo
sommamente benemerito di tutta la repubblica cristiana
il quale nel natalizio di san giovanni battista
dell'anno 1243
eletto pontefice
nel giorno sacro al principe degli apostoli, coronato
dopo aver per primo adorno di cappello purpureo i cardinali
e aver fatta restituire a san pietro
napoli rovinata da corrado
e aver reso sommamente illustre
il suo pontificato con innumerevoli altre opere
splendide e quasi divine
l'anno 1244
IL DÌ DI SANTA LUCIA PASSÒ DI QUESTA VITA
ANNIBALE DI CAPUA ARCIVESCOVO DI NAPOLI
IN MEMORIA DELL' UOMO SANTISSIMO
FECE RISTABILIR QUEST' EPIGRAMMA PER ANTICHITÀ CANCELLATO.
64 LE TOMBE DEI PAPI.
IX.
Da Innocenzo IV in poi, Viterbo fu per qual- che tempo la residenza dei Papi. Dacché infatti T anno 1257 il gran senatore Brancaleone ebbe cac- ciato da Roma Alessandro IV e i cardinali, i Papi preferirono di dimorare nelle loro piccole residenze di Anagni, Perugia e Viterbo. Pertanto nel duomo di quest'ultima città troviamo la tomba di Alessan- dro IV Conti (1254-1261), e nel duomo di Perugia quella del suo successore Urbano IV (1261-1264). Clemente IV, il contemporaneo di Tommaso d'Aquino, è sepolto .anch'esso a Viterbo, dove morì il 29 novembre 1268. Francese di nazione, essendo nato in Linguadoca, e stato per lungo tempo segretario di san Luigi re di Francia, egli offrì a Carlo d' Angiò la corona degli Hohenstau- fen, e sopravvisse alla morte sì di Manfredi come di Corradino. Dalle mura di Viterbo vide V ultimo degli Hohenstaufen passar col suo esercito alla volta di Roma, e gli predisse rovina. Non avendo egli fatto nulla per impedir V uccisione di Corra- dino, può darglisi colpa di complicità con Carlo d' Angiò, quand'anche non istesse con lui in espresso accordo.
PRIMA SERIE. 65
La gran lotta tra i Papi e gli Hohenstaufen, così gloriosa, eppur così tragica per la Germania, era ormai giunta al suo termine. Il papato ne era uscito vittorioso, nel tempo stesso che avea domato P eresia degli Albigesi. Ma allorquando un Papa nato in Francia scelse un principe francese per ese- cutore delle sue vendette ed erede della potenza sveva in Italia, egli precipitò il papato e V Italia stessa in un abisso di sventure. La sede di Pietro rimase preda dei Francesi, e il Papa loro vassallo. L1 Italia, divenuta il pomo della discordia per gli stranieri, fu da quel tempo in poi sconvolta senza posa da quella rovinosa politica che vi perpetuava le discordie, e chiamava lo straniero. Quest' èra nuova è aperta da Clemente IV.
Ora che è chiusa P epoca memorabile degli Hohenstaufen, trascorriamo più velocemente innanzi alle tombe che racchiudono i Papi dell' ultima metà del decimoterzo secolo. Ecco quella di Gregorio X nel duomo d' Arezzo, quelle di Adriano V e di Giovanni XXI nel duomo di Viterbo. Tutti e due, come anche il loro antecessore Innocenzo V se- polto in Laterano, morirono nelP anno 1276: ap- parizioni fugaci che non han lasciato nessuna trac- cia nella storia dell' umanità.
Se la tomba di Niccolò III Orsini esistesse an-
5
66 LE TOMBE DEI PAPI.
cora in San Pietro, dinanzi ad essa ci tratterremmo più a lungo. Fu un Papa pieno d' attività e di zelo, grande edificatore, e degno soprattutto d' esser ri- cordato, perchè fu lui che conchiuse la pace con Rodolfo d'Absburgo, e ne ottenne la conferma delle donazioni fatte dalla contessa Matilde, per le quali erasi un tempo accesa la guerra con gli Hohenstaufen.
Anche Martino IV (1281-1285) ci tratterrà un istante. Egli era francese e creatura di Carlo cP Angiò. Regnò ben poco tempo, ma pur tanto da vedere i Vespri Siciliani, P umiliazione e la morte di Carlo, avvenuta due mesi innanzi alla sua propria morte, assicurata la libertà dei Sici- liani, da lui maledetti, e finalmente il nipote di Manfredi, Pietro d'Aragona, non meno inutilmente maledetto, rassodarsi nel regno eia lui poc5 anzi acquistato. Martino morì in Perugia il 29 marzo. Sapendo coni' egli riposa nella medesima urna con Innocenzo III, intendiamo quanto breve fu P inter- vallo che corse fra questi due Papi, e quali grandi destini e rivolgimenti la storia abbia ristretto in così breve spazio.
Ancora quattro Papi e sarà chiuso il secolo decimoterzo che oramai volge al suo termine. Gran secolo fu questo, ed essenzialmente tedesco nella sua prima metà, così come il decimosesto.
PRIMA SERIE. 67
Il primo di quei quattro Papi ci conduce nella bella basilica di Santa Maria in Araceli sul Cam- pidoglio. Là s' innalza P antica tomba di Onorio IV Savelli (1285-1287); fu però Paolo III quegli che dal Vaticano fece trasportare in questa chiesa le ceneri di Onorio e collocarne sulla tomba la statua tratta da San Pietro. Ciò fece perchè la cappella dov' è sepolto apparteneva ai Savelli, una delle più antiche famiglie di Roma, i quali Paveano edificata in onore di san Francesco. Quivi si ve- dono due tombe di questa famiglia : in quella a sinistra, opera gotica assai pregevole del decimo- terzo secolo, per la quale si adoperò un sarcofago antico, riposa Luca Savelli, padre di questo Papa, e il suo fratello Pandolfo, famoso senatore di Roma. Onorio stesso è sepolto dirimpetto nella tomba di sua madre Vana Aldobranclesca, in un sarcofago di marmo bianco, la cui parte anteriore è rivestita di musaici su fondo d' oro, e mostra lo stemma dei Savelli, leone rosso rampante e aquila in campo d' oro. Sulla base si legge :
DNA VANA DE SABELLIS.
Sopra il sarcofago vedesi la statua di questo Papa giacente su cuscini. Tale monumento è oggi la più antica tomba intera di un Papa che si con-
68 LE TOMBE DEI PAPI.
servi in Roma, non contando, s' intende, i sarco- faghi isolati o i frammenti di sepolcri dell' antica chiesa di San Pietro che ora si trovano nei sot- terranei.
Il successore d' Onorio, Niccolò IV, Masci (1288-1292) ha anch' esso un bel monumento in Santa Maria Maggiore, non è però opera del se- colo decimoterzo ma del decimosesto, essendo stato dedicato alla memoria di quel Papa da Sisto V, quando era ancora cardinale. La tomba ha per- tanto il carattere dei monumenti di quel tempo. Vi si vede il Papa seduto dentro una nicchia in atto di benedire; accanto a lui sorgono le figure allegoriche della giustizia e della religione, con- cetti affatto stranieri alla semplicità del secolo decimoterzo. . Ciò non ostante la tomba di Nicolò è il più nobile monumento di quella chiesa, ed è P opera migliore di Leonardo da Sarzana. È bene a sapersi che questo Papa, un uomo venuto su dal nulla, cercò un appoggio nella potente famiglia dei Colonna, innalzandola a dismisura. Il suo ami- co, il cardinal Giacomo Colonna, contribuì insieme con lui a rinnovare i musaici della tribuna di Santa Maria Maggiore, nei quali oggi ancora veg- gonsi i loro due ritratti. Durante il suo regno av- venne che Tolemaicle, P ultimo possedimento dei
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Cristiani in Asia, cadesse nelle mani dei Maomet- tani. Così. si chiuse l'èra delle crociate.
Eccoci al penultimo Papa del secolo decimo- terzo : Celestino V. Nella città napoletana d'Aquila, nel convento dei Celestini, troveremo la sua tomba modesta, e volentieri ci fermeremo dinanzi ad essa per richiamare alla memoria l' immagine viva di questo Papa : vera figura del medio evo che sem- bra appartenere piuttosto alla poesia che alla sto- ria, e riproduce fedelissimamente V ingenuità di quel secolo strano, donde ebbero origine la leg- genda romanza e la pittura.
Dopo la morte di Nicolò IV la sede papale era rimasta vacante per due anni e tre mesi, dac- ché i cardinali, divisi nelle due fazioni napoletano- francese e romana, non eran mai potuti venire ad un accordo. Dopo che tutte le elezioni erano riu- scite a vuoto, finalmente il cardinal vescovo d'Ostia avendo proposto d' eleggere un anacoreta ritiratosi in un luogo solitario e deserto della Puglia, tutti i voti, quasi per una miracolosa ironia, si riunirono su questo solitario. Era egli un tal Pietro, figlio di un contadino di Castel Molise in Terra di La- voro, il penultimo di dodici fratelli. All' età di venti anni s' era fatto monaco benedettino, quindi nel fiore della gioventù erasi ritirato a vivere nelle
70 LE TOMBE DEI PAPI.
caverne del monte di Morone, dove per cinque anni pregò Dio nella solitudine. Di lì era passato sul monte Maiella nella Puglia, ed avea raccolto intorno a sé altri che più tardi si chiamarono Ce- lestini, quando un giorno gli si presentò una de- putazione di arcivescovi e protonotari per invitarlo in forza del decreto di elezione a discendere dal bosco selvaggio della Maiella e a salire sul trono pontificio in Roma. Pietro da Morone rimase sgo- mento, e ricusò di seguirli. Allora si recaron nel romitorio due re, Carlo II di Napoli e Andrea III d'Ungheria, e inginocchiatisi dinanzi a lui, lo scon- giurarono d' acconsentire, di accettare la corona papale e ridonar la pace al mondo cristiano. So- spirando e piangendo cedette. Il corteo si avviò alla città di Aquila, e la moltitudine, colà accorsa da ogni parte, vide entrare il Papa montato umil- mente su di un asino che due re, più umilmente ancora, conducevano per la briglia e appresso i dignitari della Chiesa e la splendida cavalleria di Napoli. Il 29 agosto 1294 V eremita fu coronato nella chiesa di Santa Maria di Collemaggio, e prese il nome di Celestino V.
Egli non andò a Roma, ma a Napoli dove aveva convocato i cardinali. Pover uomo : esso era uno strumento passivo nelle mani di Carlo, col-
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P animo angustiato, col pensiero sempre rivolto alla sua tranquilla solitudine pareva una colomba selvaggia strappata al bosco natio, e in ciò si ras- somigliava a papa Vittore III. Dicesi che l'astuto ed ambizioso cardinal Caetani, che fu poi Boni- facio Vili, nottetempo lo spaventasse con sonar di trombe e con voci di spiriti, come se il cielo V esortasse a deporre la corona pontificia, troppo pesante per lui che non ne era degno. E infatti abdicò il 13 decembre per ritornare in fretta e di soppiatto nella solitudine della Maiella.1 Mail cardinal Caetani, appena nominato papa il 24 de- cembre, temendo una divisione nella Chiesa, spedì gente dietro al fuggitivo per arrestarlo. Questi si nascose nel deserto, e spinto dal terrore che gì' ispiravano quelli che da ogni parte l' insegui- vano, tanto fuggì attraverso i boschi e le solitu- dini dell' Apulia, che giunse al mare, montò in una barca, e salpò alla volta della Dalmazia. Ma una tempesta respinse indietro la nave, e la gettò sulla
1 Nel 3° Canto dell' Inferno di Dante, dice: Vidi e conobbi l'ombra di colui Che fece per viltate il gran rifiuto.
Questi versi furono applicati all'abdicazione di Celestino V. La storia dell' elezione di Fra Morone è narrata nel Chroni- con Januense Jacobi de Voragine presso il Muratori, IX,
pag. 50.
72 LE TOMBE DEI PAPI.
spiaggia di Viesta in Capitanata dove il fuggitivo fu riconosciuto e arrestato dalle autorità. Il pri- gioniero fu condotto in Anagni nel palazzo di Papa Bonifacio, e di là nella torre di Fumone presso Ferentino. Lì dentro, in una stretta e insalubre prigione quel povero vecchio di ottantun' anno visse ancora dieci mesi, in una solitudine ora troppo as- soluta, finché il 19 maggio dell'anno 1296 morì. Questa è la vita d' un Papa del medio evo, quale il sepolcro di Aquila la rammenta al viaggiatore. Ivi è sepolto Celestino, l'anacoreta. Alcuni anni dopo la sua morte Clemente V in Avignone lo ascrisse tra i santi. Che tempi meravigliosi furon questi che, scomparsi e obbliati già da gran pezza, ci parlan tuttavia con una voce strana nelle scul- ture sepolcrali e nelle iscrizioni che sembrano già geroglifiche.
Passiamo ora nei sotterranei del Vaticano : là sul coperchio d' una cassa marmorea, disadorna e annerita dal tempo, abbiamo dinanzi a noi l' im- magine del celebre Bonifacio Vili di Anagni. Dif- ficilmente potrà trovarsi altro Papa che desti in noi sì vivo interesse. Egli chiude il secolo deci- moterzo, ed apre il decimoquarto, figli è altresì il rappresentante dei tempi di Dante. Questi gli com- parve dinanzi in qualità di ambasciatore dei Fio-
PIUMA SEftlE. 72
rentini, e nel primo giubileo di Roma Giovanni Villani concepì il disegno della sua cronica, la più grande opera storica che vanti P Italia. Era Tanno 1300, quando Bonifacio promulgò il giu- bileo, e tale avvenimento è ricordato anche oggi da un prezioso monumento, cioè da un dipinto di Giotto che si conserva sotto cristallo nella navata destra del Laterano. Questa bella e gra- ziosa pittura ci rappresenta il Papa che ritto tra due cardinali promulga il giubileo. La storia di Bonifacio è generalmente nota, perchè la sua tragica fine s' imprime facilmente nella memoria. Tutti conoscono le sue contese con Filippo il Bello di Francia e coi Colonna di Roma, basti ora ri- cordare coni' egli nella sua residenza d' Anagni fosse colto all' improvviso da Sciarra Colonna e da Guglielmo di Nogaret, come fosse maltrattato, e come infine liberato dagli Anagnini stessi.1 Ricon- dotto a Roma, P 11 ottobre 1303, soli 37 giorni dopo P ingiuria di Anagni, per dispetto dell' ol- traggio sofferto, colto da un accesso di furore, morì improvvisamente nel Vaticano, dove gli Orsini, im- padronitisi di lui, lo ritenevano prigioniero. Egli
1 Dante nel 20° Canto del Purgatorio
Veggio in Alagna entrar lo fiordaliso E nel Vicario suo Cristo esser catto.
74 LE TOMBK DEI PAPI.
fu P ultimo grande Papa secondo il carattere del medio evo, violento, iracondo, imperioso, ma anche saldo, altero e magnanimo ; F ultimo principe della Chiesa che concepisse il papato come dominazione universale, cioè nel senso di Gregorio VII, Ales- sandro e Innocenzo III. Dopo di lui nessun Papa spinse tanto in alto le sue mire.
Il suo corpo fu trasportato in San Pietro con grande accompagnamento di cavalieri e nobili e seguito da Carlo II di Sicilia. Lo collocarono in una cappella da lui stesso fatta fabbricare e ador- nar di musaici, e gP innalzarono un superbo mo- numento. Quando per costruir la nuova chiesa que- sta cappella fu demolita, si scopersero i suoi avanzi, per uno strano scherzo del caso, precisamente il giorno stesso della sua morte, 302 anni dopo. Erano ancora ben conservati. Si vide il Papa vestito di pallio e pianeta, con guanti bianchi ricamati di perle, con un zaffiro al dito del valore di soli trenta scudi e con una piccola mitra bianca di co- tone. Doveva essere di statura grande fuor del- l'usato, misurando il suo corpo 7 palmi e 8/ì; se- condo F opinione dei medici, egli par che fosse calvo, e non portava barba.1 Conservasi tuttora nei
1 Vn buon ritratto di Tìonifario VITI ci è dato da Dionisio.
PRIMA SERIE. 75
sotterranei di San Pietro il suo sarcofago sopra il quale egli vedesi effigiato nelF atteggiamento di un morto. Straordinariamente bella è la sua testa dai lineamenti nobili e severi, e ben s' accorda col ritratto, che ne abbiamo per mano di Giotto, il quale ci mostra un volto imberbe, del più bel- V ovale. Porta in capo una lunga mitra di forma conica e appuntita, fregiata di due corone. Fu in- fatti quest' uomo superbo il primo ad adottare la doppia corona, laddove i Papi suoi antecessori ne avean portata una sola. Il costume da lui in- trodotto rimase sino ad Urbano V che vi aggiunse una terza corona.
Trovasi ne' sotterranei anche un' altra statua di Bonifacio Vili: è una mezza figura in marmo che un tempo faceva parte del suo monumento. Lo raffigura in atto di sollevar la destra per bene- dire, e colle chiavi di Pietro nella sinistra. Nes- suna iscrizione che si riferisca a lui, è giunta sino a noi.
SECONDA SERIE.
I.
Con Bonifacio Vili si chiude il gran periodo medievale del papato, durante il quale la gerar- chia divenuta, per lavoro interiore, saldo e per- fetto sistema, avea steso all'esterno la sua domi- nazione sul mondo. La lotta della Chiesa collo Stato sotto gli Hohenstaufen aveva però scosso la sua potenza, L' eresia , un altro avversario interno e dogmatico della Chiesa, era stata do- mata, ma lo spirito mondano sopraffece la Chiesa stessa, la ragion politica divenne più potente di lei, e finalmente al termine di quest' epoca ridusse il papato in vassallaggio e schiavitù della Francia. Il tempo della sua maggiore grandezza, quando governava il mondo, era passato da un pezzo.
Il papato, del resto, in tutti i suoi svolgimenti posteriori ci mostrerà sotto altra forma la mede- sima successione di fatti. E invero, dopo V inter-
SECONDA SERIE. 77
regno di Avignone si riprende la lotta dei due poteri temporale e spirituale, più interna però e quindi più pericolosa. L' eresia non è più domata, ma respinta, e, separata dal corpo della Chiesa, di- vien la Riforma. Il più alto concepimento del pa- pato, quello dell' unità morale del genere umano, è distrutto ed affidato alla civiltà universale. Ma viene a formarsi un nuovo sistema della Chiesa ed una nuova dominazione, finché poi la politica ro- vescia il papato e lo trascina un' altra volta in pas- seggera schiavitù della Francia, e finalmente ai nostri giorni lo dà in balìa delle rivoluzioni na- zionali.
Ora vedremo come a cominciar del quattordi- cesimo secolo la storia dei Papi si riveli quasi completamente nelle loro tombe.
Il successore immediato di Bonifacio Vili, Be- nedetto XI, un italiano da Treviso, ha già un bel monumento nel duomo di Perugia. Ma ciò non e1 interesserà gran fatto, dacché questo Papa, avendo regnato solo otto mesi, non rappresenta una parte importante nella storia del mondo.
Dopo di lui comincia V esilio di Avignone. Sei Papi riempion questo periodo, il settimo lo chiude ; ma essendosi essi allontanati da Roma, dal centro della storia del mondo, -per chiudersi in un an-
78 LE TOMBE DEI PAPI.
golo della Francia, e avendo, francesi essi stessi, impresso al papato un carattere francese, cessano di destare in noi un vivo interesse. Nessun mo- numento di Eoma accenna alla loro storia sino a Gregorio XI, tutti essendo stati sepolti in Fran- cia. Clemente V, Bertrando de Got (1305-1314), il primo di questa serie, noto universalmente per la vergognosa distruzione dell' ordine dei Tem- plari, giace sepolto nella piccola Chiesa di Beata Maria d'Uzes nella provincia di Narbona; Gio- vanni XXII nel duomo d' Avignone dove si con- serva ancora il suo bel monumento gotico, come anche quello del suo successore Benedetto XII Four- nier. Clemente VI Ruggero Beaufort (1342-1352), un Papa dotto e pieno d' ingegno, fu sepolto nel monastero della Chaise-Bieu presso Avignone, dove si vede il sarcofago e la sua immagine se- polcrale, soli avanzi della tomba primitiva, dap- poiché questo come V altro magnifico monumento di Clemente V furono più tardi distrutti dai Cal- vinisti.
Nella Certosa di Villeneuve s' innalza la gran- diosa tomba gotica d'Innocenzo VI, Stefano d'Al- bret (1352-1362), e finalmente nel monastero di San Vittore a Marsiglia il sontuoso monumento d' Urbano V. Fu Urbano V unico tra quei Papi
SECONDA SERIE. . 79
francesi che vedesse Roma. Assediato dalle pre- ghiere- di tutta Italia, e costretto dai torbidi onde era sconvolto lo Stato della Chiesa, si recò in Roma il 16 ottobre dell'anno 1367, ma spaventato dallo squallore della desolata città, si ritirò ben presto a Viterbo, poi a Montefiascone, e di lì nel settem- bre 1370 se ne ritornò ad Avignone dove morì Tanno stesso. La memoria di questo Papa è te- nuta viva dai due più famosi e grandi nomi di Roma nel secolo decimoquarto : Egidio Albornoz e Cola di Rienzo. Tutti e due questi uomini moriron durante il suo regno : il gran cardinale, spagnuolo di nascita, poco prima della sua andata a Roma, e il tribuno tredici anni innanzi. Non e' è in Roma una pietra che ci parli dell' ultimo e sfortunato Gracco di un secolo in decadenza e del più glo- rioso generale che abbia mai avuto la chiesa.
Ma nel fòro romano, in una chiesa notevole nella Via Sacra, v' è una tomba dinanzi alla quale volentieri s' arresterà il viaggiatore per richiamare alla memoria quei tempi così interessanti. Su <T un zoccolo di inarmo posa un sarcofago sotto un fron- tone sostenuto da quattro colonne d'alabastro. Nella spezzatura del timpano si vede uno stemma, sei rose ed un nastro. La statua non e' è, ma in suo luogo è murato nella parete al disopra del sarco-
80 LE TOMBE DEI PAPI.
fago un gran rilievo, rappresentante l'ingresso di un Papa in Roma. Vi si vede la città eterna e tra le nubi la sede di Pietro che sembra di- scendere per posarvisi, come se gli angeli V aves- sero trasportata da Avignone nella capitale del mondo. Vedesi anche sospeso in aria un angelo colle chiavi e la corona papale in mano. Il Papa s! avanza a cavallo sotto un baldacchino retto dal senatore di Roma e da qualche prete ; di qua e di là da lui vanno i flabelliferi e dietro gli ala- bardieri, seguono poi i cardinali su cavalli fanta- sticamente bardati e molti gentiluomini in armi. Dalla porta della città la dea Roma, coir elmo in capo e seguita da un'onda di popolo, viene incontro al corteggio. Essa è rappresentata sotto la figura ideale di Minerva, fiorente di bellezza. Ah no! non era questo V aspetto della Roma d' allora ! L' artista, se avesse voluto tenersi al vero, avrebbe dovuto raffigurarla nel modo che la dipinge il Pe- trarca, come una vedova con vesti lacere, con volto pallido e smunto, con occhi smarriti e chioma scarmigliata. Tale infatti appariva Roma, quando Gregorio XI vi fece il suo ingresso. Imbarcatosi a Marsiglia il 12 ottobre 1376, dopo aver sof- ferto violente tempeste, era approdato prima a Corneto e poi il 3 gennaio 1377 ad Ostia, donde
SECONDA SERIE. 81
risalendo il Tevere giunse in Roma non prima del sabato 17 gennaio.1
Roma, signora del mondo da tanti secoli, e santificata dai destini dell' umanità, durante il pe- riodo della cattività avignonese, era stata abban- donata a sé stessa ; avea veduto la repubblica di Cola di Rienzo salire in alto e ripiombar giù, come una meteora fugace, tra le rovine del Campidoglio. La gran città dei Cesari e dei Papi era desolata fino a non esser riconoscibile, e Gregorio XI al primo entrarvi rimase spaventato dall' aspetto or- rendo di quel capo del mondo. L' erba cresceva nel cuore di Roma, in parecchie chiese pascolava il bestiame, tra i mucchi di macerie sorgevano mi- serabili tuguri, e lungo il Tevere il Campo Marzio era tutto una palude pestilenziale. A 20,000 anime, non par credibile, era sceso il numero degli abi- tanti di quella città che sotto i Cesari ne aveva contati più di due milioni. Si poteva quasi dire che Roma non era popolata che di colonne e ruine.
m * Petrus Amelìus descrive questo ingresso nell' Itinera- rium Gregorii Papce XI, presso il Muratori, III, parte II. Si leggeranno con piacere anche le lettere scritte da quella mo- naca d'alto sentire che fu Caterina da Siena, e indirizzate a Gregorio e a' suoi predecessori. L' ingresso di Gregorio è rap- presentato anche nella Sala Regia del Vaticano in un affresco del Vasari.
82 LE TOMBE DEI PAPI.
Il ritorno dei Papi da Avignone segna pertanto un' epoca importante nella storia di Roma e in quella della Chiesa. Ma Gregorio XI morì poco dipoi al fine del marzo 1378, meritamente amato e lungamente pianto dai Romani, e fu lui I1 ultimo francese che abbia occupato la sedia di san Pietro. Fu sepolto nella chiesa di Santa Maria Nuova o Minore che oggi è chiamata Santa Francesca Ro- mana, essendo egli stato cardinale di quel titolo. La sua tomba però è opera di un tempo più tardo; poiché il Senato romano in memoria del grande avvenimento la fece innalzare Panno 1584 dallo scultore Pietro Olivieri e porvi la seguente iscri- zione :
EPITAFIO DI GREGORIO XI.1
A Gregorio XI da Limoges, uomo ammirabile per umanità, dottrina, pietà, il quale, volendo por- tar rimedio ai mali d' Balia travagliata dalle se- dizioni, per ispirazione divina, con plauso mas- simo degli uomini, da Avignone dove era stata per lungo tempo, riportò felicemente in Boma, dopo set- tanta anni, la Sede Pontificia nelV anno settimo del suo Pontificato.
1 Vedi le iscrizioni latine alla fine del volume.
SECONDA SERIE. 83
II Senato e il Popolo romano non dimentico di sì gran pietà e benefizio, colV approvazione di Gre- gorio XIII Pontefice Ottimo Massimo, V anno della salute 1584 pose.
GIOVANNI PIETKO DKACO
CIRIACO MATTEO CONSOLE
GIO. BATTISTA ALBERO
TOMMASO BUBALO DE CANCELLARIIS PRIORE.
IL
Subito dopo la morte di Gregorio, separatisi i cardinali francesi dagP italiani, ebbe principio il famoso scisma, cagione di torbidi e scompigli di cui apre V èra Urbano VI, Bartolomeo Prignani. Questo Papa, dopo un regno infelice di undici anni, morì in Roma Panno 1389,' probabilmente di veleno. Il suo sarcofago vedesi nelle grotte di San Pietro, dove gli fu innalzata una tomba con questa strana iscrizione :
EPITAEIO DI URBANO VI.1
In questf urna è chiuso il magnanimo, sapiente e giusto monarca Urbano VI napoletano.
Egli dava volentieri ricovero ai maestri della
1 Vedi le iscrizioni latine alla line del volume.
84 LE TOMBE DEI PAPI.
fede cristiana; ecco il suo decoro, ecco la voluttà cui s' abbandonava dopo il pranzo.
Ai grandi scismi oppose un animo ancor più grande.
Ogni simoniaco tremava sotto un sì gran Papa.
Ma die giova innalzarlo qui in terra con lode mortale ?
Splende abbastanza nel cielo la gloria che si e acquistata co' suoi meriti.*
Tuttavia il sepolcro di Urbano, per scempia che ne fosse V iscrizione, doveva esser bello e sun- tuoso ; tale almeno è rappresentato nei disegni fat- tine prima che fosse distrutto nell' edificazione della nuova chiesa.
Anche le tombe di Bonifacio IX, Tomacelli (1389-1404) e Innocenzo VII, Migliorati (1404- 1406), esistevano nella vecchia basilica di San Pie- tro. Scisma, antipapi e concili riempirono d' oscu- rità e confusione il regno di quelli, come degli altri Papi che seguirono. In Germania questo è il tempo
1 II Platina nella vita di questo Papa scrive: scpelitur- que in beati Pelvi Basilica, paucis admodum elus mor- tem, utpote hominis rustici et inexorabilis, flentibus. Huius autem sepulcrum adliuc visitur cum epitaphio satis rustico et inepto.
SECONDA SERIE. 85
di Huss e di Girolamo, quando cominciarono a fer- mentar gli elementi della vicina Riforma ; in Italia è r epoca in cui le democrazie caddero sotto la si- gnoria di tiranni e delle loro famiglie, mentre le lettere classiche, fuggendo la barbarie turca da Co- stantinopoli e da tutto V Oriente, venivano a cercare asilo nelle corti di quei signori.
Nel duomo di Recanati è sepolto Gregorio XII, Angelo Correr di Venezia (1406-1409) ; nella chiesa dei Francescani a Bologna il suo successore Ales- sandro V, nativo di Candia (1409-1410) ; nella cattedrale di Firenze il famoso Giovanni XXIII, Baldassarre Cossa, queir ambizioso ed astuto na- poletano che fu deposto nel celebre concilio di Costanza dopo che con la fuga erasi sottratto al- l' accusa. Fu arresta to e tenuto per tre anni pri- gioniero in Heidelberga dall' Elettore palatino, fin- ché liberato per intercessione di Cosimo dei Medici, ovvero riscattatosi con gran somma di danaro, se ne fuggì a Firenze, dove con gran meraviglia di tutto il mondo, pentito e umiliato si gettò ai piedi del suo successore Martino. Questi lo nominò car- dinale di Tuscolo ; ma queir uomo ambizioso non sopravvisse che pochi mesi a tanta umiliazione. Morì in Firenze, e Cosimo, il quale ne ereditò, a quel che si dice, grandi ricchezze, gV innalzò nella
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chiesa di San Giovanni. un ricco monumento con questa iscrizione :
In questa tomba è racchiuso il corpo di Bal- dassarre Gossa, Giovanni XXIII, stato un tempo Papa.
ilnche questa tomba dinanzi alla quale la me- moria di Huss viene ad unirsi con quella del fioren- tino Savonarola, ci ricorda un' epoca importan- tissima nella vita dei popoli. È il monumento della divisione della Chiesa, ed è a un tempo T ul- tima tomba di Papa fuor di Roma.
Lo scisma è chiuso finalmente da quel Mar- tino V che, col consenso delle nazioni, fu eletto in Costanza il 12 novembre 1417. Egli apre un'era nuova di ordine e ristabilimento della Chiesa ed anche della città di Roma, la quale dovea risor- gere dal suo abbassamento e sollevarsi a nuovo splendore, sì da vincer tutte le città della terra. Egli stesso era romano e chiamavasi dapprima Ottone Colonna; fu pertanto il primo Papa di questa celeberrima famiglia ghibellina, stata sempre par- tigiana cieli' Imperatore e sempre nemica dei Papi. Quando Martino fece il suo ingresso in Roma il 29 settembre dell' anno 1420, aspettato dal popolo come un angelo di salute, anch' egli, come già Gre-
SECONDA SERIE. 87
gorio XI, trovò la città immersa nella più pro- fonda miseria, devastata dalle guerre interne tra le famiglie nobili, colle vie, lungo le quali s' erge- vano minacciose innumerevoli torri, quasi impra- ticabili, colle chiese abbandonate o minate, colla popolazione rimbarbarita dalla fame, dalle vendet- te, dalle quotidiane uccisioni. Martino, come aveva composto la divisione della Chiesa, così ora diede mano a restituire alla città la pace e l'ordine; e V abbattuta Roma prese a poco a poco a risor- gere. Di rado un Papa fu amato quanto Martino : saggio e mite, giusto ed attivo, ricolmo dalla na- tura de' più bei doni, egli si guadagnò il titolo di Felicitas temporum suorum, titolo che si legge anche oggidì sulla sua tomba. Questo monumento trovasi nella basilica di San Giovanni in Laterano, ma non ritto in pie, sibbene disteso sul pavimento dinanzi all'aitar maggiore; non essendo che una lastra di bronzo sulla quale il Papa è effigiato in bassorilievo. Questa bella figura, così come tutto il monumento, è opera di Antonio Filarete, quel me- desimo che lavorò in gran parte le porte di bronzo di San Pietro.
Il successore di Martino fu Eugenio IV Con- dulmer (1431-1447) veneziano, uomo di gran fer- vore e dottrina, liberale, umano e fautore delle
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scienze. Egli chiude veramente il medio evo, poi- ché il suo successore pose già i fondamenti della nuova Roma. Fu anche V ultimo Papa, sino a Pio IX, che sia stato cacciato dai Romani, corsi ad un tratto e furiosamente alle armi. Euge- nio, in abito di converso, accompagnato da un solo laico, a stento potè giungere al Tevere dove si appiattò in una barca da trasporto, e discese giù pel fiume sotto una pioggia di saette e sassi lanciatigli dai Romani accalcatisi sulla riva. A tale estremo si ridusse, per una contradizione stranis- sima, quel medesimo Papa che avea incoronato l' imperatore Sigismondo e s' era visto comparire innanzi in atto di supplichevole un altro impera- tore Giovanni Paleologo. Ciò era avvenuto in Fer- rara e in Firenze dove Eugenio, malgrado V op- posizione dell' imperatore e delle nazioni, avea trasferito il concilio di Basilea, e dove avea abba- gliato il mondo collo spettacolo pomposo ma vano del ritorno dell' Oriente alla fede latina.
Queste glorie son celebrate nell' iscrizione pri- mitiva della tomba di Eugenio IV in San Pietro, la quale più tardi andò distrutta.
SECONDA SERIE. 89
EPITAFIO DI EUGENIO IV. *
Qui giace Eugenio IV del cui nobile cuore fan testimonianza gli splendidi fatti della vita.
Due Cesari, V un dalV Oriente, V altro dalV Oc- adente si prostrarono dinanzi ai sacri piedi di lui.
ti uno per ricevere gV insegnamenti della fede latina, V altro per esser cinto il capo dell9 aurea corona.
Da lui guidati anche gli Armeni e gli Etiopi, seguendo V esempio dei Greci, riconobbero la fede di Boma.
E appresso i Siri, gli Arabi e gl'Indi dagli estremi confini della terra : grandi fatti furon que- sti, ma pur minori del suo animo.
Mentre s' accingeva ad assalir novamente i Tur- chi con una potente armata, fu rapito dalla morte.
Egli che sempre avea sprezzato i vani onori del Mondo, disse: seppellitemi in questa terra da tutti calpestata.
Ma ciò non sofferse Francesco, delta sua no- bile stirpe, che da lui avea ricevuto V onore del pur- pureo cappello.
E memore del benefizio fece erigere il monu- mento che tu ora vedi sì nobile e splendido.
1 Vedi le iscrizioni latine alla fine del volume.
90 LE TOMBE DEI PAPI.
Il tuono ampolloso di questa iscrizione basta a far conoscere quanto fosse cangiato lo spirito dei tempi. Del resto la tomba di Eugenio in San Pietro fu distrutta; ma nella piccola e poco frequentata chiesa di San Salvatore in Lauro in Roma si legge ancor oggi la seguente superba iscrizione in onore di quel Papa:
a Venezia gli diede i natali. E Roma che cosa ? Lì impero sulla città e sul mondo. Dio gli conceda il regno de' cieli a cui aspirava. »
Alla Memoria di Eugenio IV Pontefice sommo ed ottimo
Questi grave in pace, infaticabile nelle guerre combattute per la Chiesa di Cristo, paziente delle ingiurie, amante dei religiosi, splendido verso i dotti, raffrenò e vinse V insolenza del concilio di Ba- silea ribellantesi all'autorità del Pontefice romano, convocando il concilio di Firenze dove Giovanni Paleologo, imperator greco, riconoscendo il capo della Chiesa romana, umilmente pose ai piedi di lui sé e molte nazioni straniere e lontane.1
Qui Fiscrizione tocca appena e con gran cau- tela dell' oltraggio sofferto dal Papa nella sua cac-
1 Vedi le iscrizioni latine alla line del volume.
SECONDA SERIE. 91
data, anzi il distico parla della sua signoria sulla città. Infatti Eugenio, benché vivesse a lungo in esilio, riuscì alla, fine a sottomettere i Romani, va- lendosi del braccio ferreo e insanguinato del pa- triarca Giovanni Vitelleschi, l' ultimo dei cardinali corazzati e guerrieri che abbia avuto la Chiesa, il quale meriterebbe un posto tra i celebri condot- tieri suoi contemporanei, quali furono Fortebraccio da Montone, il Piccinino e Francesco Sforza. Si sa poi che Eugenio IV, al quale egli avea riconqui- stato Roma e il Patrimonio, lo fece, ad istiga- zione dei Fiorentini, proditoriamente trucidare sul Ponte Sant'Angelo.
Quella iscrizione che si legge sul nuovo se- polcro innalzatogli in San Salvatore in Lauro, gli fu posta dalla Congregazione dei Canonici di San Giorgio in Alga di Venezia per gratitudine verso di lui che ne era stato il fondatore. Il mo- numento è opera anch'esso del secolo decimoquinto, ed è uno dei pochi monumenti antichi in istile to- scano-romano ; non se ne conosce però V autore. Vi si vede il Papa giacente su ci' un sarcofago di marmo bianco ; sopra la tomba corre una cornice sostenuta da pilastri; e secondo il costume che si osserva quasi universalmente nei sepolcri del medio evo, sopra alla figura giacente è rappresentata in
92 LE TOMBE DEI PAPI.
rilievo la Madonna in mezzo a due angeli. Nei pi- lastri si apron delle nicchie riccamente ornate con dentro statuette di santi. Le sculture sono di stile duro e manierato, e rimangon molto al disotto a quelle di altri monumenti del decimoquinto secolo, dei quali Roma è ricchissima.
Si spiega poi facilmente questa ricchezza quando si pensi, che ai tempi di Eugenio e de' suoi suc- cessori Nicolò V, Calisto III ed altri, i prelati ga- reggiavan coi Papi nelP alzarsi suntuose tombe, desiderosi, com' erano, d' assicurarsi durante la lor vita, V immortalità nei marmo. E a quei tempi ap- punto appartengono gì' innumerevoli monumenti di vescovi, abbati e cardinali, di cui son piene le chiese e i chiostri di Roma, dacché fu allora che con Mino da Fiesole cominciò un nuovo periodo di floridezza nella scultura, e Paolo Romano, An- tonio Filarete, Poliamolo e molti altri artisti riempiron di loro lavori le chiese.
III.
Pur troppo i migliori monumenti di quel tempo sono andati perduti, intendo dir le tombe di Ni- colò V e Paolo II, che forse erano le più grandi e splendide della primitiva chiesa di San Pietro. Dai
SECONDA SERIE. 93
frammenti che ne rimangono nei sotterranei, si ri- conosce ancora 1' estensione e il valore artistico di quelle opere.
Nicolò V da Sarzana (1447-1455), uno dei più liberali fautori delle scienze, ha sì grandi meriti verso Roma, anzi verso il mondo, che, a prefe- renza di molti altri principi della Chiesa, si sa- rebbe dovuto alzar in suo onore un nobile monu- mento. Egli infatti cominciò la nuova èra del papato e preparò i tempi di Giulio II e Leone X. Allora cominciò a penetrar nella Chiesa quello spirito mon- dano dell' erudizione e della filosofia, dell' arte e del lusso, spirito che ha impresso alla nuova Roma il carattere di grandiosità che le è proprio, ed ha reso eterno il papato con meravigliosi monumenti d' ogni maniera, come già l' impero erasi fatto im- mortale coi monumenti della Roma antica. Nic- colò V, durante il cui regno Costantinopoli cadde in mano dei Turchi, diede un gagliardo impulso agli studi greci, e raccolse intorno a se uomini come Poggio Bracciolini, il Filelfo, Gregorio da Trebisonda, Nicola Perotto, Lorenzo Valla, Teo- doro di Gaza e il cardinale Bessarione. Verso gli ultimi anni del suo regno giunse portata a Roma l' arte della stampa, e fu accolta ospitalmente, quasi colonia dello spirito nuovo di Germania,
94 LE TOMBE PEI PAPI.
dalla nobile famiglia Massimi nel suo palazzo della regione Parione.1
Siamo ora giunti all' età del rinascimento. Nic- colò V è il vero fondatore della Biblioteca Vaticana, avendo mandato in tutti i paesi persone intendenti per fare acquisto di manoscritti; egli finalmente concepì il disegno veramente imperiale di far del palazzo vaticano una città dei Papi, un Pala- tino apostolico, e di San Pietro il più gran tem- pio del mondo, disegno che soltanto cinquant' anni dopo V impetuoso Giulio II poteva arrischiarsi di mettere ad effetto. Giulio per altro sebbene ere- ditasse da Niccolò questa idea gigantesca, non ebbe
1 I tedeschi leggeranno volentieri i distici latini che sono al fine della Bibbia di Giovanni Antonio, vescovo d' Aleria: si riferiscono a quei primi stampatori tedeschi in Roma i cui bar- bari nomi erano raddolciti, com' essi dicono, dall' arte :
Aspicis illustris lector quicumque Mbellos,
Si cupìs Artificum nomina nosse, lege. Aspera ridebis cognomina Teutona : forsan
Mitiget ars musis inscia verba virum. Gonradus Suueynlieym, Amoldus Pannartzque, Magistri
Romo3 impr esser unt talia multa simul. Petrus cum fratre Francisco Maximus ambo
Huic operi optatam contribuere domum.
Bisogna proprio dire che i due bravi stampatori portavan dei nomi tanto barbari da parere scelti apposta : Schweinheym (Casa del porco) e Pannartz! È difficile andar' più in là colla rusticità nelP appioppar nomi in cui son talvolta forti i Te- deschi.
SECONDA SERIE. 95
pur troppo alcun riguardo di pietà per la tomba di un sì grande antecessore ; anzi nel buttar giù T antica chiesa la lasciò distruggere, cosicché oggi ne rimangono solo pochi avanzi conservati nei sot- terranei, le statue cioè degli apostoli Matteo, Gio- vanni e Giacomo, alcune figure eli angeli ed altri frammenti che pur bastano ad attestare quanto grande dovesse esser la magnificenza del monu- mento di Niccolò V.
Il suo corpo è racchiuso in un' urna rettango- lare di marmo bianco sulla quale vedesi giacente la figura del Papa, vecchio senza barba, dall' aspetto sofistico.
Il suo epitafio, V ultimo che io conosca scritto in versi, fu composto dal suo segretario Maffeo Vegio :
EPITAFIO DI NICCOLÒ V.1
Qui son riposte le ossa del Pontefice Niccolò V che a te, Roma, ridonò il secolo d'oro.
Illustre per senno, più illustre per ogni virtù, onorò i dotti, essendo egli più dotto che ogni altro.
Tolse via V errore di cui lo scisma avea avve-
1 Vedi le iscrizioni latine alla fine del volume.
96 LE TOMBE DEI PAPI.
lenato il mondo, ristabilì i costumi, le mura, i tem- pli, le case.
Istituì altari in onore di Bernardino da Siena, mentre celebrava il tempo del santo Giubileo.
Cinse della corona il capo di Federico e della sposa di lui, e ordinò gli Stati d' Italia stringen- doli in lega.
Fé volgere in lingua latina molte opere greche : spargete incenso su questa sacra tomba.
Morto che fu Niccolò V, il più dotto di tutti i cardinali, il Bessarione, stette lì lì per ottenere la corona papale,1 la quale però fu posta in capo a Calisto III, spagnuolo, zio di Alessandro Bor- gia. Anch' egli ebbe un bel sepolcro che andò per-
1 Bessarione era stato fatto cardinale sotto Eugenio IV Tanno 1431, e morì l'anno 1172. La sua tomba trovasi nel chiostro di Sant'Apostoli coli' iscrizione che egli vi fece porre mentre era in vita :
Bessarìon Episcopus Tus
Sanctce Bomance Ecclesice Cardinalis,
Pairiarcha Constantinopolitanus,
Nobili Grcecia Ortus Oriundusque
Stai Vivens Posuit. Anno Salutis MCCCCLXVJ
Tour STI B-nCTcrapiwv £wv àvuaa awfxaTi crofxa nvsufxa frs (psu£stT05t Trpog ^sov fàavctTOv
I frati aggiunsero al monumento una lunga iscrizione e il ritratto del Cardinale, bellissima testa con lunga barba e ca- pelli, una figura da filosofo del medio evo.
• • SECONDA SERIE. 97
duto al pari degli altri, tranne i pochi avanzi che si veggono nei sotterranei.
Più fortunato dei suoi antecessori fu Pio II Piccolomini (1458-1464), seppure può dirsi fortuna per un morto il passare ai posteri in un torreg- giale monumento marmoreo o nel solido bronzo. La sua tomba che un tempo sorgeva nelP antico San Pietro, fu poi di lì trasportata in Sant'Andrea della Valle, dove conservasi tuttora in buono stato ; ne si può riguardarla senza interesse, dacché ap- partiene ad un illustre letterato, al dotto Enea Sil- vio, il più spiritoso uomo che fosse mai eletto Papa. Egli era figlio d'un povero gentiluomo della no- bile famiglia senese dei Piccolomini, la quale fu poi resa grande da lui. Il suo ingegno brillante aveagli procacciato favori e fama. Dapprima fu se- gretario dell'antipapa Felice Ve ambasciatore dell' imperatore Federico III che avealo solenne- mente coronato come poeta, e di cui Enea scrisse la storia. Nel Concilio di Basilea sostenne eloquen- temente i diritti di quei parlamenti ecclesiastici di fronte ai Papi, ma in seguito passò nel partito eli Eugenio IV, e fece fortuna in qualità di segre- tario di tre Papi, finché Calisto III lo innalzò alla dignità cardinalizia. Succedutogli nel trono ponti- ficio, egli ritrattò il suo passato. Il più ardente de-
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siclerio del suo regno, pur troppo breve, fu quello di far guerra ai Turchi, ed egli stesso voleva an- dar in campo alla testa d' una crociata contro T Isla- mismo, e così morì colle armi in mano, pieno d' ar- dore guerresco tra lo strepito delle schiere che si raccoglievano in Ancona.
La sua tomba è un mostro architettonico di quattro piani d' altezza. Nella chiesa di Sant' An- drea della Valle occupa tutto lo spazio compreso tra due pilastri, lasciando al di sotto posto per un coro da cantori. I quattro piani fiancheggiati da due pilastri, son separati V un dall' altro da cornici, e il tutto termina molto bizzarramente in un architrave. L' altezza del monumento rende im- possibile di riconoscere i numerosi rilievi che co- prono ciascun piano. La figura del Papa, che era piccolo di statura e invecchiato innanzi tempo dallo studio e dalle malattie, vedesi giacente sul sarco- fago nello scompartimento di mezzo. Anche i pi- lastri sono adorni, secondo V antica maniera, di nicchie con entro figure di santi.
Gli artisti a cui si deve questa tomba, furono, a detta del Vasari, due scolari di Paolo Romano, vale a dire Nicola Della Guardia e Pietro da Todi. Sarebbe difficile di trovare un monumento più pe- dantesco, e con esso ben s' accorda la lunga e in-
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sipida iscrizione in prosa la quale, secondo il co- stume invalso d' allora in poi, espone in compendio la vita del sepolto :
Pio II, pontefice massimo, di nazione toscano, nato in Siena della famiglia Piccolomini, regnò VI anni. Breve fu il suo pontificato, grande la sua gloria. Tenne un concilio per la fede cristiana. Ben- tro e fuori Italia resistette ai nemici della Santa Sede. Ascrisse tra i Santi di Cristo Caterina da Siena. Abolì in Francia la prammatica sanzione, insta- bili Ferdinando d'Aragona nel regno di Sicilia di qua dallo Stretto. Accrebbe lo stato della Chiesa. Isti- tuì le miniere dell1 allume , ritrovato allora presso la Tolfa. Fu cultore della giustizia e della religione, fu ammirabile per la sua eloquenza. Mentre par- tiva per la guerra da lui intimata ai Turchi, morì in Ancona. Quivi egli aveva pronta la flotta e il Boge dei Veneziani col suo Senato per compagni nella milizia di Cristo. Trasportato in Roma, fu per decreto dei Padri sepolto qui dove egli avea fatto collocare il capo delV Apostolo Andrea, a lui portato dal Peloponneso. Visse anni cinquantotto, mesi nove, giorni ventisette. Francesco Cardinale di Siena al suo zio santissimo pose V anno MCBLXIV.1
1 Vedi le iscrizioni latine alla fine del volume.
100 le tombe dei papi.
IV.
Il sepolcro di Paolo II, Pietro Barbo, era an- che più bello che quello di Nicolò V, essendo la- voro di Mino da Fiesole stesso. Ne rimane un gran frammento in forma di lunetta, rappresen- tante il Giudizio Universale, come anche parecchie figure di santi e di virtù, e basta questo a mo- strar quanta doveva esser V estensione e la grazia del tutto. L'urna del Papa è di forma quadrata e più semplice di quello eh' egli stesso avrebbe desiderato ; giacche, mentre era in vita, tolto per forza dalla cappella rotonda presso Sant' Agnese fuor della porta Nomentana il gran sarcofago di porfido di Costanzia figlia di Costantino imperatore che oggi vedesi nel Museo Vaticano, V avea fatto trasportar nel suo palazzo di San Marco, perchè gli servisse di tomba.
L' epitafio gli dà vanto che essendo dell' an- tica famiglia dei Barbi e ricolmo de' più bei doni della natura, in nulla cedesse al suo zio Euge- nio IV. Paolo era anche stretto di parentela colla famiglia veneziana dei Condulmer, la quale in breve spazio vide uscir dal suo seno tre Papi. Infatti Angelo Condulmer, padre di Eugenio IV,
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ebbe tra i suoi più stretti parenti questi Papi : suo fratello Gregorio XII (1406-1409), il suo pro- prio figlio Eugenio IV (1431-1447) e il suo ne- pote Paolo II (1464-1471). Pietro Barbo era uomo di beli' aspetto, per modo che, quando nel conclave riuscì eletto Papa, voleva prendere il nome di For- moso, se i cardinali non gli avessero fatto osser- vare che in tal nome si sarebbe scorta un' allusione vanitosa alla sua bellezza fisica. Rinunziò pertanto a chiamarsi Formoso; ma la gente non mancò di farsi beffe della vanità ci' un Papa il quale, a quanto dicevasi, non avea maggior piacere che di mostrarsi in processione per far pompa di sua figura e che prima d' andare alle funzioni sacre giungeva perfino ad imbellettarsi, come una donna vana. Egli sprecò somme enormi per adornar la sua mitra. Da ogni parte del mondo facevasi ve- nir le gemme più preziose, zaffiri, crisoliti, sme- raldi, diamanti e perle, e ne fregiava a profusione le tre corone della sua tiara, e così adorno mo- stravasi volentieri al popolo come il più bello di tutti i Papi. A' suoi tempi V arcivescovo di Bene- vento portava anch' esso, in forza d' un antico pri- vilegio, un triregno, e Paolo per gelosia gli tolse questo distintivo. Volle ancora che il costume so- lenne dei cardinali fosse severamente mantenuto;
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e con decreto proibì a chiunque non fosse cardi- nale di portar berretta rossa. A tutti i cardinali poi fece dono di panno purpureo per covertarne i loro cavalli o muli, unica cavalcatura eh' essi usas- sero a quei tempi, non conoscendosi ancora quelle pesanti carrozze tirate da giganteschi cavalli adorni di nappe rosse su cui andavano in giro per Roma i cardinali sino al 20 settembre 1870.
V hanno in Roma molte cose che ricordali que- sto Papa lussurioso e cor contento, il grandioso e mirabile palazzo di San Marco che egli fece fabbri- care, e la denominazione di Corso data alla via principale in cui egli introdusse il costume delle corse durante le feste carnevalesche. Il suo nome però è offuscato dalla barbara trascuranza ch'egli ebbe per tutte le istituzioni dotte de' suoi prede- cessori. Morì il 26 luglio 1471 nell'età ancor fre- sca di 53 anni, esempio raro tra i Papi.
Il successore di Paolo, Sisto IV (1471-1484), Francesco della Rovere, fu proprio il suo contrap- posto : attivo, diplomatico, avido di conquiste s'im- pigliò in un mondo di raggiri e d' intrighi ed ebbe anche mano segretamente nella congiura dei Pazzi a Firenze. Così vediamo i Papi scender dalla loro elevata posizione dirimpetto ai re, ed occupare il loro regno in contese meschine co' loro Stati vicini.
SECONDA SERIE. 103
Questo è il tempo in cui Venezia, Milano, Fi- renze, Napoli e altre città o principati si lacera- vano con vicendevoli guerre; è un tempo di con- fusione, di politica cangiante ad ogni momento, di alleanze, congiure, astuzie e trame senza fine, in mezzo alle quali il Papa, appoggiando or qua or là, s' argomentava d' ingrandire il suo Stato ; tempo insomma di passioni piccole ma violente.
Sisto IV fu il primo ad attentarsi di fondare un principato per uno de' suoi nepoti, Girolamo Riario, da lui creato signore d' Imola e di Forlì. Egli pertanto può considerarsi come V istitutore di quella politica, la quale mirava a dare al papato una solida base temporale mediante la fondazione di uno stato monarchico. Tale politica fu d'allora in poi costantemente seguita da' suoi successori, avvantaggiandosene per lungo tempo le loro fami- glie, ricevendone perpetuo detrimento la dignità della Chiesa e dei Papi stessi, come vedemmo anche a' nostri giorni.
Giulio della Rovere, figlio del fratello di Sisto, e celebre poi come Papa Giulio II, mentre era ancor cardinale, innalzò al suo zio la tomba. Questa che un tempo fu nella cappella del coro dell' an- tico ■ San Pietro, oggi trovasi nella cappella del Santo Sacramento, distesa a terra, non essendo, al
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pari del sepolcro di Martino V nel Laterano, che una lastra di bronzo, lavoro notevole del fiorentino Antonio Poliamolo nel 1493. Su di uno zoccolo adorno di figure allegoriche stendesi un coperchio sepolcrale di bronzo, rastremato in basso, su cui vedesi l' immagine del Papa giacente e attorniata anch' essa da figure allegoriche in rilievo. Le scul- ture che circondan lo zoccolo sono donne rappre- sentanti co' loro emblemi V aritmetica, V astrolo- gia, la dialettica, la rettorica, la grammatica, la prospettiva, la musica, la geometria, la filosofia e la teologia. È vero che Sisto era un dotto fran- cescano, amico del Bessarione e avea successiva- mente insegnato nelle sei più rinomate Università d' Italia, ma tutte quelle immagini allegoriche che avrebbero potuto a meraviglia convenire ad un pro- fessore, non han proprio niente che fare col con- cetto d' un Papa. La stranezza di quelle figure muliebri, seminude, di forme magre e manierate quanto mai, è accresciuta ancora dalla scelta ca- pricciosa dei loro attributi. La teologia, per dirne una, è rappresentata in figura di donna portante sulle spalle, a mo' della Diana de' pagani, una fa- retra piena di freccie, come se, in cambio di oc- cuparsi di dogmi e padri della chiesa, ella dovesse anelarsene al bosco per cacciare il cervo. Quale
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strana associazione '<T idee corresse pel capo all'ar- tista, è un mistero. Il Winckelmann stesso, che pur ne ha dette di sì grosse a proposito delle rela- zioni tra T allegoria e V arte e si affaticava tanto per escogitar nuove allegorie, dinanzi a questa teo- logia colla faretra se ne rimaneva muto. Del resto nel monumento di Sisto apparisce per la prima volta, quanto mai chiaramente, non solo V applica- zione di figure allegoriche, indispensabile nelle tombe dei Papi di cui tutto V essere e ogni fatto appartiene al mondo morale, ma anche la mesco- lanza di elementi cristiani e pagani, che segna il passaggio ad un modo di concepire interamente mondano. La figura del Papa finalmente, piena di vigore, con faccia espressiva, mento assai sporgente e naso aquilino, è la meglio riuscita in quest' opera bizzarra che costò al Poliamolo dieci anni di lavoro.
Il medesimo artista fece anche la tomba di bronzo d'Innocenzo Vili Cibo (1484-1492). Tro- vasi in San Pietro su d' un pilastro vicino alla cap- pella del coro molto sollevata dal pavimento. Il lavoro è di gran finitezza, ma troppo minuto e arti- ficioso. Il Papa giace su <T un sarcofago di bronzo ; egli è rappresentato un' altra volta sedente in trono colla mano destra levata per benedire, mentre nella
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sinistra tiene il ferro della sacra lancia, che il sul- tano Baiazette gli avea mandato in dono. Le nicchie dei pilastri di qua e di là sono adorne di figure rappresentanti le virtù teologali e cardinali, cioè la fede, la speranza, la carità, la giustizia, la for- tezza, la temperanza e la prudenza.
L' iscrizione chiama Innocenzo costante difen- sore della pace d' Italia, e ricorda la gloriosa sco- perta del nuovo mondo avvenuta a' suoi tempi. Dice anche che il Sultano gli spedì la lancia eh' erasi abbeverata elei sangue di Cristo.
Quanto belli, concettosi, e talvolta sublimi eran gli epitafì dei Papi nel più remoto medio evo, altrettanto aridi e meschini ci appariscono quelli dei secoli posteriori. L' iscrizione di Pio II e V altra d1 Innocenzo Vili ce ne danno una prova evidente, quantunque la tomba di quest' ultimo risvegli nel- P animo molti e diversi pensieri. Egli morendo sul limitare dell' epoca più importante di tutta la storia moderna, vide sorger 1' aurora d' un grande avvenire. Trent' anni innanzi alla sua elezione Co- stantinopoli era divenuta preda degli Osmani ; ma il Cristianesimo riguadagnò in Occidente quanto avea perduto in Oriente. Egli sopravvisse poi alla caduta di Granata, e vide distrutto per mano di Ferdinando d'Aragona il regno dei Mori nella
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Spagna. Allora, tra i popoli della famiglia latina, si levò in alto il nome ispano-portoghese mostrando tal forza di entusiasmo religioso da conquistare alla Chiesa nuove vittorie e nuovi mondi. Ferdi- nando stesso avea fondato la terribile Inquisizione, ed Innocenzo vide ora accendersi i roghi, come altra volta un de' suoi antecessori, terzo del suo nome, gli avea visti al tempo della guerra contro gli Al- bigesi. Doveva poi da questo tetro divampar della fede spagnuola venir fuori anche V Ordine di Gesù per combatter la riforma del frate tedesco, che era nato pochi mesi innanzi l' elezione dello stesso Inno- cenzo Vili. Quali tempi si annunziavano, quali lotte, quali sconfitte ! Ma Innocenzo non poteva averne il più lontano sospetto, egli che vedeva la fede catto- lica, vittoriosa dappertutto, avviarsi alla conquista del mondo. Bartolomeo Diaz aveva già scoperto il Capo di Buona Speranza, e la via delle Indie era aperta. Il Papa poteva credersi ancora padrone del mondo e far dono di tutti i paesi d' Africa sco- perti e da scoprirsi a Giovanni II di Portogallo. Ed ecco eh' egli morì, debole e pacifico vecchio, il 26 luglio 1492: solo otto giorni dopo la sua morte un Genovese, suo compatriota, in nome della croce e della fede cattolica, salpò dal porto di Palos per andare alla scoperta di un nuovo mondo.
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V.
Alessandro VI Borgia (1492-1503). Il nome dei Borgia nell'immaginazione degli uomini che amano di qualificare un' epoca con una sola pa- rola, è rimasto doppiamente terribile sì pel padre come pel figlio, è divenuto un simbolo, come ai tempi dell' Impero romano, quello di Tiberio. E dav- vero eh' esso getta F ombra più tetra sulla storia del papato e dell'Italia, appunto in quel tempo che una splendida luce cominciava a rischiarar F umanità. C è un altro nome che s' appaia con quel dei Borgia, ed è Machiavelli ; ma intendiamo bene, soltanto il Machiavelli del Principe, che ad un mostro morale qual fu Cesare Borgia, osò dare il nome del principe più grande del suo tempo. À questi due nomi s' oppongono quelli di Colombo e Lutero, nobili ornamenti del genere umano, figli gemelli della civiltà.
Quando il consenso universale de' popoli ha pronunciato da lungo tempo una condanna su qual- siasi persona o fatto, sorge qua e là il desiderio di contraddire alla sentenza generale; dacché con quanta prestezza e facilità gli uomini corrono a condannare, fintantoché son vive e fresche le trac-
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eie degli avvenimenti, altrettanto sono inclinati a mitigar la sentenza, quando 1' autor del male, pas- sato nel dominio della storia, non minaccia più alcun pericolo. I nepoti son volentieri portati a scrivere apologie, e non v'ha principe scellerato, per poco che mostri forza dì volere e di azione, il quale non trovi un avvocato difensore presso la posterità. Tutti e tre i Borgia, Alessandro, Cesare e Lucrezia han trovato un patrocinatore di non poca vaglia nel Roscoe, autore della vita di Leone X.1 Alessandro VI per altro difficilmente potrà mai scolparsi dalla taccia d'essere anch' egli un vero rap- presentante del suo tempo scellerato, di quel tempo in cui regnò 1' egoismo più sfrenato, in cui non vi fu nulla di ? santo tranne lo scopo dell'interesse personale, e nulla di più glorioso che l'arte di raggiungerlo. Lo spettacolo di tali passioni è tanto più vivo, quanto più ristretto ne è il teatro, ma è anche altrettanto più spregevole e disgustoso agli occhi del filosofo. Le lotte di Giulio Cesare o di
1 Lo stesso autore delle tombe dei Papi, più tardi, nel 1874, pubblicò la sua monografìa Lucrezia Borgia, della quale Raf- faele Mariano diede quella eccellente versione italiana, che è corsa e corre per le mani dei più in Italia. In tale scritto 1' autore s'è studiato sostituire 'al romanzo volgare di Dona Lucrezia, la verità storica, laddove era da reintegrarla al lume della più calma critica, sopra documenti, la prima volta tratti dagli Archivi.
HO LE TOMBE DEI PAPI.
Ottaviano per guadagnarsi la signoria del mondo, acquistan grandezza dalla loro estensione e dalla loro efficacia sui destini dell'umanità. Gli sforzi di Cesare Borgia all'incontro ci appaiono oggi degni di riso, allorché pensiamo qual inferno di delitti egli dovette accumulare per mettere su, me- diante F acquisto d' un paio di città italiane, un cencio di regno. La sua fine fu quella di un sol- dato gregario. Difatti il più bello, il più voluttuoso uomo del mondo, il più ambizioso avventuriere ri- mase finalmente ucciso, e gettato ignudo, sul dorso di un cattivo mulo, con le mani e con le gambe penzoloni, fu riportato dal campo di battaglia di Viana nell' accampamento del re di Navarra a' cui servigi era caduto.1
Alessandro, suo padre, morì a quel che dicesi, del veleno, eh' egli voleva propinare ad un cardi- nale, seppur questa tradizione vai più che una favola. Ebbe questo Papa non men favorevole la fortuna che la natura da cui avea ottenuto larga copia di
1 Cesare Borgia è sepolto in Pamplona. Un poeta spa- gnuolo scrisse per lui questo mediocre epitafìo : ,
A qui yaze en poca tierra El que toda la tenia. En esto vulto se encierra El que la paz, y la guerra En su mano lo tenia.
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doni: senno, facondia, bellezza del volto e della persona, vigore e maestà del portamento. Egli era un diplomatico perfetto, e non senza cura pel be- nessere di Roma; ma il suo regno fu fatale al- l' Italia ; giacché fu egli che ne aprì il varco agli Spagnuoli e Francesi, e provocò 1' ira di Dio contro il papato caduto nell' abisso dei vizi più infami. Fu anche il tempo del martirio del Savonarola.
Andiamo ora a cercar la tomba di questo Bor- gia. Con quali virtù morali V avranno decorata ? Anche qui vedremo la teologia in sembianza di Diana con freccie e faretra, o non piuttosto sotto T aspetto di Venere, o, meglio ancora, di Locusta T avvelenatrice ? Il Borgia non ebbe monumento. A1 suoi resti non fu concesso il riposo della tomba : Giulio II, acerrimo nemico dei Borgia, dalle grotte del Vaticano li fece trasportar nella chiesa di San Giacomo degli Spagnuoli, e quando questa più tardi cadde in rovina, furon trasferiti l'anno 1610 in Santa Maria di Monserrato. Ivi si trovano an- cora, secondo quel che si dice, sopra terra, cioè deposti dentro di una cassa di legno, insieme con quelli del suo zio Callisto III. Un' iscrizione spa- gnuola dice : Los guesos de dos Papas estàn en està caseta, y son Calisto y Alexandro VI, y eran Espanoles. Così la nostra curiosità rimane delusa,
112 LE TOMBE DEI PAPI.
giacché il sarcofago che oggidì nelle grotte vati- cane si pretende essere di Alessandro VI, dev' es- sere invece quello di Calisto, la cui figura giace distesa sul coperchio.1
Successore di Alessandro fu un Piccolomini, Pio III, figlio della sorella di Enea Silvio e da lui adottato. Regnò 26 giorni soltanto, e morì V anno 1503.
La sua tomba si trova nella chiesa di Sant'Ali-
1 II Sannazzaro scrisse per Alessandro questo epita'fio.
Fortasse nescìs cuius Me tumulus siet : Adsta, viator, ni piget.
Tumulum quem Alexandri vides, haud illius Magni est, sed huius qui modo Libidinosa sanguinis captus siti
■ Tot eivitates inclytas Tot regna evertit, tot duces letlw dedit, Natos ut impleat suos. Orberà rapinis, ferro et igne funditus Vastavit, hausit, eruit.- Humana iura nec minus cwlestia, Tpsosque sustulit Deos Ut scilicet liceret, Jieu scelus ! patri JYato3 sinum per minger e Nec venerandis abstinere nuptiis
Timore sublato semel.
L' odiosa allusione ad un commercio scandaloso colla sua figliuola Lucrezia non è giustificato da nessun documento. Fontano si è espresso con maggior chiarezza in un suo vele- noso epigramma su Lucrezia. Alle accuse dei Napoletani fan contrappeso le adulazioni dei poeti di Ferrara.
SECONDA SERIE. 113
drea della Valle dirimpetto a quella dello zio, nella medesima forma, e di mano del medesimo artista. Fu P ultima che s' innalzasse nelP antica chiesa di San Pietro, donde fu poi trasportata a Sant' An- drea. La vecchia basilica fu fatta demolire dal successore di Pio III, e questi fu appunto il ma- gnanimo Giulio II, un preteso Mosè tra i Papi, il Papa che ci voleva per Michelangelo.
VI.
Avendo Michelangelo condotto a termine in Bologna il modello per la statua di bronzo di Giu- lio II, il Papa gli domandò se la mano levata in atto violento significasse benedizione o maledizione. Al che P accorto artista rispose prontamente eh' essa doveva ammonire i Bolognesi d'aver giudizio. Chiese poi al Papa se nella sinistra dovesse mettergli un libro. No, disse Giulio, mettimici una spada, che io non sono uno scolastico. E valga il vero, un libro non istava bene nella mano d' un Papa che vecchio settuagenario era entrato alla testa de' suoi soldati per la breccia della Mirandola.
Questo genio virile impresse al Papato un ca- rattere nuovo e mondano. Il pastore che dovea guardare il gregge di Cristo, gettò via il bastone,
114 LE TOMBE DEI PAPI.
brandì la spada, e senza spogliar V abito di sacer- dote, apparve in figura tutta guerresca. Ai grandi uomini del secolo XVI, Carlo V, Francesco I, Gon- salvo, Cortez, Baiardo, Alba e Doria si accompa- gna un Papa cui la natura avea destinato ad es- sere un conquistatore, e la sorte cacciò dentro V abito d' un prete. Riesce difficile immaginarsi Giulio in vesti pontificali mormorar preghiere e dir messa, e tramezzo a tante funzioni sì poco virili e a mille pratiche passive rappresentare la parte che è imposta ad un Santo, mentre nel suo animo ribollivano i più grandiosi disegni, e spesso al canto dei salmi tornavagli in mente il rimbombar dei cannoni. Egli volle essere un principe della Chiesa ; e con politica principesca fondò il suo Stato tra le più difficili lotte contro la Francia; prese e soggiogò senza riguardo alcuno Bologna, Piacenza, Parma, Reggio ed Urbino.
L' anima di questo vecchio straordinario si legge nel suo volto di una grandezza imperiosa e severa, quale s' addirebbe ad un Cesare. Sulla sua faccia appare diffusa la doppia dignità della maestà ce- leste e della terrestre. Raffaello 1' ha dipinto : nel- T affresco di Eliodoro è da veder questo Papa come, apparisce sublime nelF atto che trasportato in sedia nel tempio, lancia uno sguardo severo sui rubatori
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abbattuti a terra, così che non si saprebbe dire chi abbia colpito di tanto terrore i profanatori, se il cavaliere celeste, ardente di collera, o il Papa solennemente immobile e silenzioso * L' allegoria allude alla cacciata dei nemici dallo Stato della Chiesa.
Si osserverà che da molti secoli nessun Papa innanzi a lui aveva portato barba. Ma ben si con- venne a lui d' essere il primo a riprender questo segno della forza virile. Si vuol che fosse per se- guire il suo esempio che Carlo V, Francesco lei loro cortigiani la portarono anch' essi ; e sebbene il suo successore immediato ci si mostri di nuovo imberbe, tuttavia Clemente VII rimise in vigore quest' uso, quando dopo il terribile sacco di Roma, per opera dei soldati dell' Imperatore, si lasciò cre- scer la barba in segno di lutto. D'allora in poi, fino al diciottesimo secolo, sulle tombe dei Papi si veg- gono facce adorne di barba, e non di barbe da apostolo, che conferiscono all' aspetto una dignità patriarcale; ma son per lo più facce con baffi e pizzo alla Wallenstein e alla Tilly, le quali dal- l' alto dei loro sarcofaghi par che guardino in aria marziale il meravigliato visitatore. Nel secolo di Enrico IV e della guerra dei Trent' anni tutti i Papi avevano aspetto di capitani d' eserciti o gè-
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nerali di cavalleria. Giulio II, però, portava barba da patriarca o da apostolo.
Il più gagliardo Papa che sia mai stato da Inno- cenzo III, il*fondatore del papato nel suo nuovo carattere politico, volle, come un altro Augusto, eternar sé stesso e la sua creazione. Riprese il di- segno di Niccolò V: Roma doveva diventare il suo monumento. A metterlo ad effetto egli potè di- sporre del genio di Bramante e di Raffaello, e so- prattutto di Michelangelo, il quale gli apparteneva, direi quasi, come organo del suo essere. San Pietro di cui egli pose la prima pietra, gli affreschi della Sistina, le Loggie del Bramante, le Stanze di Raf- faello sono monumenti di Giulio IL
Ma ora dobbiam parlar della sua tomba, della quale ancor vivente avea dato commissione a Mi- chelangelo. Il concetto era degno dell' ambizione di Giulio, ed è una perdita per V arte che non sia stato eseguito secondo il disegno primitivo. Possiamo immaginarci che cosa sarebbe riuscito un tal mo- numento per mano di Michelangelo, quando riflet- tiamo che era calcolato in 18 piedi di altezza, 12 di larghezza, e doyea contener più di 30 statue e tra queste il Mosè, san Pietro e san Paolo, Ra- chele e Lia, le figure delle arti e delle provincie in catene, e inoltre quelle del cielo e della terra,
SECONDA SERIE. 117
destinate, secondo un concetto veramente strava- gante, a sostenere il sarcofago del Papa.
La morte di Giulio II, sopravvenuta V anno 1513, rese impossibile 1' esecuzione del disegno ; e sol- tanto dopo lunghe trattative, Paolo III riuscì a concludere un accordo tra Michelangelo e il Duca d' Urbino, erede di Giulio, in forza del quale P opera venne ridotta alle proporzioni presenti. Questo mo- numento celebre in tutto il mondo per la figura di Mosè, è il più sublime di tutti i sepolcri pa- pali, perchè creazione del genio di Michelangelo. Sorge nella chiesa di San Pietro in Vincoli della quale avea Giulio portato il titolo cardinalizio. Quante figure, buone o cattive, son lì riunite, come anche la composizione architettonica ristretta e rat- trappita, tutto è ecclissato e fatto dimenticar dal Mosè.
Quest' opera sublime, capolavoro della plastica dal tempo dei Greci in poi, può considerarsi come P incarnazione del genio di Michelangelo. Nella nicchia di mezzo vedesi assisa la meravigliosa figura con lunga barba ondeggiante che le scende sino alla cintola. La sua faccia sormontata da brevi corna, cogli occhi profondamente incavati e lam- peggianti fiamme di sotto alle sopracciglia come dal roveto ardente, ha in sé tale spaventosa maestà
118 LE TOMBE DEI PAPI.
di sdegno che sembra un essere sovrumano ine- briato di fuoco. Tutto in questa statua è terribile, il positivo come il negativo. Se si levasse in piedi par che sarebbe per pronunziar leggi non intelli- gibili ad alcuna mente umana, dalle quali dovesse un mondo esser piuttosto annientato che creato. La sua voce, come quella degli dèi omerici, rim- bomberebbe tanto violenta da non poter esser sop- portata da orecchio mortale. Sì, nel Mosè di Mi- chelangelo e' è qualcosa d' immensurabile. La sua terribilità non è mitigata che da una leggera nebbia di tristezza scendente dalla fronte in su gli occhi. E la medesima malinconia profonda che si legge nel volto di Michelangelo. Ma anche questa espres- sione spaventa più che non commuova, I Greci diffìcilmente avrebbero potuto tollerar la vista di un tal Mosè, e avrebbero censurato l'artefice per non essere stato capace di diffonder su quella im- magine gigantesca un alito di pace. Egli è ora un tipo di sublimità tremenda e inaccessibile. E una figura che sarebbe stata al suo luogo nella cella di un tempio colossale per rappresentar Giove Am- inone, ma ad una tomba si adatta tanto poco, che questa considerata solo come cornice, sembra troppo meschina per lei.
Nelle due nicchie fiancheggiatiti il Mosè sor-
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gono le due figure dantesche della vita attiva e contemplativa, Lia e Rachele. Anch' esse son di mano di Michelangelo, e Rachele specialmente ha il carattere robusto delle sue figure di donna. Le altre statue nella parte superiore del monumento furono eseguite secondo i suoi modelli, e precisa- mente la Sibilla e il Profeta dal suo migliore sco- laro Raffaello da Montelupo, ma non hanno alcun valore artistico, tanto che la parte superiore fa un perfetto contrapposto alla inferiore. Quanto al Papa, che è rappresentato giacente su d' un meschino sarcofago, bisogna convenir che fa una assai po- vera figura, divenuto com'è nuli' altro che un orna- mento accessorio della sua propria tomba. Strano è inoltre il suo atteggiamento, perchè invece di essere effigiato giacente disteso in sembianza di morto, come negli altri sarcofaghi di Papi, egli vedesi starsene vigile appoggiando sulla mano il capo barbato e coronato di tiara, in atto di ri- guardare il Mosè sottostante. La figura del Papa è la peggiore di tutte ; merita però scusa P artista, Maso da Bosco, se si sentì oppresso dal confronto del Mosè. Molto migliore è la Madonna col bam- bino di Scherano da Settignano la quale corona e termina il monumento. Così questo celebrato se- polcro (o a dir meglio cenotafio essendo Giulio se-
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polto in San Pietro accanto al suo zio Sisto IV) non è degno di un tal Papa che per la statua del Mosè, e deve riguardarsi come un frammento o Torso maraviglioso. Del resto quando si contempla questo Mosè, dalle sue forme ardite, dalla sua barba fluttuante, dalle pieghe della veste ricadenti con fare grandioso sul ginocchio, ci par di veder trasparire tutta la scultura romana del decimoset- timo secolo, tutte le statue che adornano le tombe dei Papi e tutte le altre opere di quei genii sfre- nati che furono il Bernini, il Rusconi, il Le Gros e via via. Quella schiera bizzarra di figure, di una grandiosità fuor» del naturale, sembra sbucar fuori di sotto al pollice del piede di Mosè.
VII.
Eccoci dinanzi alla tomba di Leon X Me- dici (1513-1521). Questa dovrebbe essere a un tempo monumento dell' età aurea dell' Italia, età che si riconnette ai nomi dei Medici e di Leone, come il tempo di Orazio a quelli di Mecenate e di Augusto. Per la tomba di Leone non sono figure adatte né Mosè, né Lia, né Rachele ; meglio vi starebbero Apollo e le Muse dei pagani, perchè sotto di lui, quasi al tocco d'una verga magica,
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tornarono di nuovo in vita gli Dei della Grecia. Il papato, ormai tutto mondano, fu tirannico sotto Alessandro VI, regio sotto Giulio II, sibaritico sotto il figlio di Lorenzo il Magnifico. Da quella sfre- nata libertà degli spiriti, da quel giocondo senti- mento della vita, da quella sensualità magnificente sbocciaron fuori splendidi e rigogliosi i fiori di tutte le arti, che sono oggi ancora la meraviglia dell' uman genere. Il mondo deve esser grato a quelle tendenze pagane dei Papi, a quei tempi lieti e fecondi: se non fossero stati essi, chi avrebbe fatto un contrapposto benefico allo spirito severo ed arido del protestantesimo ? chi avrebbe versato all'umanità la fresca sorgente del bello senza là quale la Riforma avrebbe soffocato l'altra metà della vita?
Giovanni Medici, nato gli 11 dicembre 1475, fu dal suo ambizioso padre destinato Papa sin dalla culla. A sette anni ricevette la prima tonsura, a tredici il cappello cardinalizio, a trentotto salì sulla sedia di San Pietro, col nome di Leone X. Quand' era ancora cardinale, era stato preso pri- gioniero alla battaglia di Ravenna. Si noti poi un fatto che mostra chiaramente Tumore mondano d' un Papa di quei tempi : quand' egli andò in pro- cessione solenne a prender possesso del Laterano,
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cavalcava il medesimo cavallo bianco che aveva montato in quella battaglia.
Ma lo spirito del nuovo Papa, de' nuovi tempi e della nuova Roma apparve chiaramente nella so- lennità della sua incoronazione. Allora si vide che cosa fosse diventata 'Roma dal tempo che Grego- rio XI e lo stesso Martino V V avevan trovata un mucchio di barbariche ruine. In ogni parte si ve- devano archi di trionfo, colonne, iscrizioni, allori, ghirlande e festoni di fiori e soprattutto quadri e statue di maniera che pareva che il Santo Padre entrasse in Atene. A Ponte Sant1 Angelo si leg- geva su d' un arco di trionfo questa singolare iscri- zione:
Un tempo tenne V impero Ciprigna, un tempo Marte ; oggi regna Minerva.
Così si salutava a quei tempi un Papa ; ricor- dandogli <T aver reso omaggio prima a Venere, poi a Marte, e da ultimo a Minerva. Altri, e con miglior fondamento, riferivan quell'iscrizione ai regni di Alessandro VI, di Giulio II e a quello di Leone che allora cominciava. Affinchè poi tra tanti omaggi resi ad un Papa la dea Venere non avesse a lagnarsi d' esser trascurata, anche a lei fu in-
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rialzata una statua vicino a queir arco di trionfo, postavi questa iscrizione:
Marte fu, ora è Minerva., io Ciprigna durerò eterna.*
Il Papa amava tutto ciò che è lieto e inge- gnoso: la musica, la poesia, le belle arti, la filo- sofia platonica. Allora ebbe origine l' opera in mu- sica, e dinanzi a lui fu rappresentata la prima tragedia italiana la Sofonisba del Trissino. Tale splendido periodo, a cui appartiene quel lieto in- cantatore che fu l'Ariosto, era vivificato da una moltitudine di spiriti fecondi che nel loro contatto si completavano a vicenda, riunione ben di rado verificatasi in altro periodo della storia. Quando Raffaello si recava alla corte di Leone, col quale armonizzava come il genio di Michelangelo col ca- rattere di Giulio II, egli menava con sé un corteo di artisti a cui una schiera di poeti e di dotti faceva accoglienza in Vaticano. Là si videro riuniti il Bembo, il Sadoleto, il Bibbiena, il Navagero, il Te-
1 Queste iscrizioni son riportate dal Roscoe ; eccole in la- tino :
Olim Jiabuit Cypria sua tempora, tempora Mavors Olim hahuit: nunc sua tempora Pallas habet.
Mars fvit : est Pallas : Cypria semper ero
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baldeo, l'Accolti e parecchi altri. Kaffaello, che deve tanto al suo tempo e alla relazione con quegli uomini, quanto questi devono a lui, gli ha ritratti quasi tutti. QuancP oggi percorriamo le stanze da lui dipinte, ci ritorna alla memoria queir età raf- finata, libertina e tutta umana, eli cui il monumento più caratteristico è la stanza della Segnatura. Niente infatti potrebbe raffigurare il carattere vero del papato sotto Giulio e Leone più esattamente che la Disputa, rappresentazione della teologia e del Sacramento, a cui fan riscontro colla più inge- nua libertà e colla più imparziale eguaglianza, qua la Scuola d'Atene, là il Parnaso, con Apollo che suona il violino, e le Muse e i poeti che ascoltano. !
1 I bacchettoni fanatici potranno scandalizzarsi della me- scolanza di paganesimo e cristianesimo che fu propria di quella età; l'osservatore spregiudicato potrà sorridere alla gioia in- fantile con cui il mondo d'allora salutava il risorgimento del- l' antichità ; ma lo storico riguarderà con compiacenza la ri- conciliazione di due civiltà, tenute lungo tempo divise da una religione esclusiva. I contrasti sono, a dir vero, troppo crudi, ma si spiegano coli' indole di quei tempi violenti e bizzarri. Erasmo, in una sua orazione, paragona il Papa Giulio con Zeus, la passione di Cristo colla storia di Socrate, d' Ifigenia e del romano Curzio. Nel linguaggio poetico d'allora fu d'uso co- mune T adoperare il nome di Giove in cambio di quello di Dio, di Esculapio per quello di Cristo, di Diana per Maria e via dicendo. Perfino nelle chiese e sulle tombe si verifica que- sta mescolanza dì concetti pagani e cristiani. Nella chiesetta di San Benedetto in Piscinula di là dall' isola tiberina io ho
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Il ritratto di Leone X, dipinto più volte da Raffaello, anche nel Vaticano, fa contrasto con quello di Giulio IL La sua testa è grossa fuor dell' usato, la faccia imberbe, florida, molle e sen- suale, direi quasi, voluttuosa, V occhio intelligente e benevolo, la bocca conformata pel conversare ar- guto e amichevole, la mano eh' egli portava vo- lentieri adorna di gioielli, bella, pienotta e deli- cata, l'espressione del volto tranquilla, soddisfatta, placida e piena di bontò. Leone si godeva le ma- gnificenze della vita con serenità tutta greca, ma non troppo platonicamente; morì alla lieta notizia della presa di Milano per mano de' suoi imperiali alleati, nel pieno vigore della vita, prima di vedere il papato, reso da lui sempre più mondano, de-
ritrovato questa iscrizione sul sepolcro di una fanciulla della famiglia trasteverina dei Castellani :
Olimpice Castellana? agenti menses undeviginti, et dies odo. Olym- pum ascenditi Laurentius Castellanus Pater non sine moerore posuit.
La medesima frase pagana si legge sulla pietra sepolcrale del Senatore Pier Giacomo Cima nella chiesa di Santa Maria in Ara Cceli :
Hic corpus linquens anima repetivit Olympurn.
Nella stessa chiesa nella tomba di Paolo Boccapaduli del secolo XV si legge :
Iupiter hunc primum sacris pro?fecerat : illum Nunc superi gaudent astra tenere poli.
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cader per opera della Riforma ognor più potente e per le guerre tra Francesi e Spagnuoli. Il fasto e gli scialacqui della sua Corte, le sue grandi fab- briche, specialmente quella di San Pietro, nella cui cassa confluiva anche il danaro carpito alla Ger- mania con la vendita che vi si faceva delle indul- genze, avevano, a dir vero, duramente pesato sul popolo ; ed essendo egli morto senza sacramenti, si ripetè dietro il suo cadavere il grido con cui era stato insultato quello di Bonifacio Vili : « Tu ti sei » insinuato come una volpe, hai regnato come un » leone, e sei morto come un cane. »
Il suo monumento sorge nel coro della bella chiesa di Santa Maria sopra Minerva ; e quest' ac- cozzo fortuito dei nomi della Madonna e di Mi- nerva, perpetuo ricordo della fusione avveratasi in Roma tra paganesimo e cristianesimo, par fatto apposta per Leone ; ma quello che non corrisponde né al carattere, né all' età di questo Papa, è il monumento, di grandi proporzioni, con molte scul- ture di nessun pregio. Antonio da San Gallo ne diede il disegno, e Baccio Bandinelli ne eseguì di sua mano diverse parti. Un frontispizio formato da quattro colonne corintie sostenenti un attico a bassorilievi, attornia la nicchia dove si vede Leone seduto su d' un piedistallo con le chiavi nella sini-
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stra e la destra sollevata per benedire. Siffatto modo di rappresentare i Papi sulle loro tombe in atto d' impartir la benedizione, che noi rincontre- remo costantemente di qui in poi, sembra tolto dai musaici bizantini, nei quali Cristo è di solito effigiato sedente in trono con la mano levata per benedire. D' altra parte era molto naturale che si pensasse d' atteggiar nello stesso modo i suoi vi- cari, giacché in quest' atto solenne si riassume tutta T energia della loro autorità spirituale, e la loro più alta potenza, come apparisce quando tutto il popolo s' inginocchia per domandare e ricever la benedizione. Per comprender la grandezza di quest' atto, bisogna aver visto il Papa al giorno di Pasqua, quando seduto sul trono, colla triplice corona in capo, in bianca veste, pari ad un essere soprannaturale, dall' alto della loggia di San Pietro impartisce la benedizione alla innumerevole folla raccolta nella piazza. Nel medio evo, allorché la fede del popolo era piena ed intera, tale spetta- colo dev' essere stato ineffabile. Ma ora la vista di tante figure di Papi, tutte atteggiate ad un modo, riesce d' una uniformità che stanca.
La figura di Leone è un' opera mediocre di Raffaello da Montelupo, né valgon gran fatto di più le figure di Pietro e Paolo ai due lati della nicchia.
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Appiè della tomba del Papa si trova la lapide del suo illustre amico il Bembo.1 Come passa ogni grandezza umana ! Se oggi risorgessero tutti e due, il fiorentino Leone e il veneziano Bembo, quanto avrebbero a dolersi del tempo, che oramai inco- mincia a mettere in dubbio la loro decantata età dell' oro e del piacere ! E se Raffaello levasse il capo dalla sua tomba nel Panteon, .e vedesse i suoi affreschi del Vaticano, maltrattati, sbiaditi e smorti, e Michelangelo il suo Giudizio universale annerito e rimaneggiato, certo che avrebbero ra- gione ambedue di lamentarsi e sdegnarsi acerba- mente.
1 Nel restaurar la chiesa, la sepoltura del Bembo, senza monumento, fu ricoperta con una nuova lastra di pietra in cui si legge: D. 0. M. Vetro Bembo Patritio Veneto. Ob. eius singulares virtutes a Paulo III P. M. in Sac. Collegium cooptato Torquatus Bembus P. ob. XV K. Feb. MDXLVII vixit an. LXXVI. m. VII. d. XXVIII. L'antica iscrizione mezzo pagana e mezzo cristiana diceva :
Hic Bembua iacet Aonidum laus maxima Phoebi,
Gum sole et luna vix periturus Jionos. Hic et fama iacet, sj)es et suprema galeri,
Quam non ulta queat restituisse dies. Hic iacet exemplar vitce omni fraude carentis, i Summa iacet summa hic cum pietaie jìdes.
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Vili.
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Un'altra tomba, un altro Papa, un altro tempo: dopo il carnevale fiorito e rumoroso di Leone X, una magra e silenziosa quaresima.
Ecco presentarcisi Adriano VI di Utrecht, vec- chio, serio e devoto professore della tetra città di Lovanio, stato già consigliere di Carlo V e go- vernatore di Spagna. Figlio d'un legnaiuolo na- vale, non era cresciuto come Leone nella fastosa scuola della ricchezza, ma erasi formato alla di- sciplina severa dell' indigenza. In Vaticano non si videro più né artisti, né dotti ; non si udì più mu- sica, non più sonetti, non più dialoghi platonici; pennelli e scarpelli rimasero inoperosi. Adriano pregava e lavorava, Egli era solito dire : Io non voglio adornare i preti con le chiese, ma le chiese coi preti.
Quando egli usciva, non era attorniato da poeti, artisti e dotti, ma da mendicanti e storpi, ai quali dispensava benedizioni e larghe elemosine. Questo cilizio di Roma non durò che un anno: il 14 settembre 1523 Adriano, benché non avesse che sessantaquattro anni, morì col rammarico nel cuore. Questo bonissimo Papa, dileggiato tanto e
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vilipeso dai Romani, ciechi ammiratori degli splen- dori , pagani della corte di Leone X, inutilmente si era adoperato a purgare la Curia e la Chiesa degli scandali ed abusi inveterati, e a riconciliare per mezzo di riforme i Luterani al papato ; perciò sulla sua tomba si leggono queste parole sconfortanti :
Proli dolor ! quantum refert in quce tempora vel optimi cuiusque virtus incielai !
Oime ! quanto importa in quali tempi s' incontri la virtù a,nche dei migliori!
Fu lui l'ultimo tedesco, anzi addirittura Pul- timo straniero che abbia seduto sulla cattedra di Pietro, la quale era stata onorata da parecchi tedeschi, uomini non privi di nobiltà, e tutti, se- condo che s' addice al carattere germanico, zelanti riformatori. E tedesca è la Chiesa dove trovasi il monumento d' Adriano cioè Santa Maria Germa- norum 0 de Anima. Fu il cardinale Guglielmo Enkenfort, F unico prelato a cui Adriano avesse dato il cappello, che glielo fece innalzare nel pre- sbiterio, dove fa riscontro al sepolcro non meno magnifico del duca Carlo Federico di Cleve.
È un fatto stranissimo che Adriano il quale disprezzava profondamente ogni arte, e aveva in orrore le statue dei Greci da lui riguardate
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come idoli del paganesimo, abbia un monumento più artistico che non sia quello di Leone X della casa dei Medici. Baldassarre Peruzzi ne diede il disegno, Michelangelo Sanese e il Tribolo ne ese- guirono le sculture che son pregevolissime. Anche qui, conforme air uso allora invalso nelle tombe, T architettura forma un frontespizio, ma F atteg- giamento onde è rappresentato il Papa, disteso su d' un semplice sarcofago di marmo e dormente col capo appoggiato sulla mano, tiene ancora del me- dievale, e per tale rispetto ben si addice al ca- rattere di lui. Il suo volto, che un tempo era stato assai bello, porta impressa nei profondi suoi sol- chi, T immagine della tristezza. Nella lunetta che gli è sopra, vedesi secondo V antico costume, la Madonna col Bambino tra san Pietro e san Paolo. Nelle nicchie son le figure delle quattro virtù car- dinali : la Temperanza tiene una catena, la For- tezza un ramo di quercia, ed ha presso di sé un leone ; la Giustizia ha uno struzzo, e la Prudenza lo specchio e il serpente. Tutte queste figure son lavorate con gran finitezza. Finalmente un gran rilievo sotto al sarcofago rappresenta l'ingresso del Papa in Roma. Egli vi si vede in veste da cardinale sedere a cavallo, seguito da cardinali e da frati a cavallo anch' essi ; il senatore della città
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gli s' inginocchia dinanzi per rendergli omaggio ; V eterna Roma esce dalla porta ad incontrarlo, e par che s' induca di malavoglia a rendere omag- gio a quel vecchio severo, ora che da' suoi pre- decessori essa era stata adorna come la bella Ci- prigna. Per altro si scorgono penetrati anche qui concetti pagani, come sarebbe quello del Tevere rappresentato in un angolo qual divinità fluviale col corno dell' abbondanza. Così quel Papa divoto non potè impedire allo spirito del tempo di pro- fanar la sua tomba con la mostra dell' odiato pa- ganesimo.
Ed ecco di nuovo lo splendido genio dei Me- dici prender possesso della Sede pontificia con Clemente VII, Giulio Medici (1523-1534), figlio eli quel Giuliano che era stato trucidato a Firenze nella congiura dei Pazzi. Ma Clemente ebbe a ve- der ben altri tempi che quelli del suo cugino Leone, e fu altrettanto povero di spirito ed infe- lice quanto quegli era stato fortunato. La tempe- sta politica scoppiando, rovesciò un diluvio di mali sulla voluttuosa Roma, ed egli, come altra volta Gregorio VII, dal suo ricovero di Castel Sant' An- gelo fu spettatore dell' assalto dato alla città ; vide i degeneri e infiacchiti Romani cader, quasi senza difesa, sotto le spade dei feroci soldati del-
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P imperator Carlo, vide il saccheggio più crudele che quello dato dai Vandali di Genserico o dai Saraceni di Roberto Guiscardo, vide infine il pa- pato preso a scherno dai lanzichenecchi luterani, che ubbriachi dalla vittoria e dalla crapula, tra- scinavan per le vie di Roma, tra mille buffone- sche sconcezze, il ritratto del Papa su di un asino, ed un cardinale vivo dentro una bara.
Il sacco di Roma era stato un colpo mortale per la potenza politica e morale del Papa, la sua sacra dignità era stata violata sotto gli occhi stessi dell' apostolo Pietro ; la sua autorità fu an- nientata per sempre in Roma stessa.
Lo sfortunato Clemente stette assediato sette mesi in Castel Sant' Angelo, e tornato in libertà ebbe a soffrire altri guai, altri dolori ; poiché gli toccò di veder lo scisma di Enrico Vili d' Inghil- terra, e morì amareggiato per la sorte della Chiesa eh' egli lasciava in ruina.
La sua tomba s' innalza nella medesima chiesa di Santa Maria sopra Minerva, dov' è quella di Leone X, e appunto dirimpetto a quest' ultima, e parimente secondo il disegno del Sangallo ed ese- guita con altrettanta mediocrità. La sorte di quel- P uomo che quivi osserviamo effigiato, e' interesse- rebbe di più, se non fosse il pensiero che egli fu
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il traditore della repubblica di Firenze, della sua propria patria ; fu colui che la ridusse sotto il giogo dell'infame bastardo Alessandro, e elei Me- dici che gli succedettero. È vero però che quando le repubbliche e i popoli cadono in ischiavitù, ciò avviene perchè han cessato d' esser degni della libertà. Ora in queste tombe di due congiunti d' una illustre famiglia, le quali fan riscontro 1' una al- l' altra, vediamo, direi quasi il diritto e il ro- vescio di questa vita umana, tanto piena di con- traddizioni.
IX.
Non sono che pochi passi da una tomba al- l' altra. Il tempo corre veloce, e i Papi non re- gnano per lungo tempo, poiché essi per lo più co- minciano il corso della loro gloria nell' età in cui l'uomo, secondo le leggi della natura, si prepara a morire. Pertanto è molto significante la ceri- monia che ha luogo nell'incoronazione del Papa: gli si avvicina un prete tenendo in una mano una canna dov'è ficcato un fiocco di stoppa, e nelP altra una candela accesa, e dopo aver con questa dato fuoco a quella, gli dice tristamente le parole : Sic transit gloria mundi. Un altro dice :
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Sancte pater, non habébis annos Tetri. L' apostolo, si crede almeno, regnò venticinque anni, laddove la durata media del regno dei Papi non è che di sette anni.
Non vi ha cosa che tanto chiaramente dimo- stri la caducità, anzi la nullità di ogni grandezza, quanto il veloce trapasso di questa triplice corona che vola da un capo canuto all' altro, trasportata sulle ali della morte.
Ed eccoci di nuovo innanzi alla tomba di un Papa in San Pietro, voglio dire dinanzi al bel mo- numento di Paolo III Farnese (1534-1549), eh' è il miglior lavoro di Guglielmo Della Porta. In una nicchia della tribuna principale, a sinistra dell' al- tare di tutti i santi Papi, siede sul sarcofago la statua in bronzo di Paolo, egregia figura di vec- chio dall' aspetto nobile e maestoso, dal bel volto barbuto che tien chinato a terra in atto medita- bondo. Davanti al sarcofago si vedon coricate due figure marmoree di donna, V una vecchia l' altra giovane, la Prudenza cioè e la Giustizia: questa ha in mano il fascio, quella uno specchio. In am- bedue si riconosce il fare vigoroso di Michelan- gelo, e arieggiano alle figure del Giorno e della Notte sui sepolcri dei Medici a Firenze. Son tutte e due di squisito lavoro : la Prudenza è il ritratto
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della madre del Papa, Giovanna Gaetani di Ser- moneta, della stirpe di Bonifacio Vili, e per la Giustizia servì di modello la sorella di lui, Giu- lia, famosissima concubina di Alessandro VI. Un tempo la statua era tutta nuda, prima che la ri- vestissero di quella camicia di piombo che guasta ogni effetto. È vero per altro che le forme roton- deggianti e voluttuose della giovane Giustizia po- tevano urtare alquanto le divote persone.
Questa tomba era adorna un tempo da altre due figure corrispondenti alle già nominate, da qlielle cioè della Mansuetudine e dell' Abbondanza che oggi si conservano in una sala del palazzo Far- nese. Tale soppressione fu cagionata dal fatto che il monumento di Paolo fu innalzato P anno 1562 nelP antica basilica ; rinnovata che fu questa, venne collocato nelP anno 1574 là dove oggi sorge la figura della Veronica, e finalmente P anno 1629 nella nicchia che occupa al presente, dove, quelle figure non trovaron più posto.
Questo monumento che è il più bello di quanti ne contiene San Pietro, costò non meno di 24,000 scudi romani che furon pagati dalla Camera Apo- stolica, essendo stato innalzato per commissione del Collegio dei Cardinali. Né deve far meraviglia che si spendesse sì gran somma per la tomba di un
SECONDA SERIE. 137
Papa : è un fatto che si spiega facilmente col prin- cipio della pompa ecclesiastica, anzi in seguito vi si fecero spese molto maggiori. È vero che non sempre l'ebbe a sostenere il tesoro dello Stato: assai di rado è avvenuto che un Papa si sia as- sunto P incarico d' innalzare un monumento al suo antecessore immediato ; e ciò s' intende facilmente perchè il sistema stesso delle elezioni papali fa sì che per lo più il successore venga eletto dal par- tito avverso al predecessore, e sia appunto un ne- mico di lui.
Pertanto i monumenti in onore dei Papi furono, generalmente parlando, eretti o dai Cardinali che quel dato Papa avea nominati o da' suoi propri nepoti.
Paolo III era un Farnese, e fu il primo romano che da Martino V, cioè da 103 anni in poi, otte- nesse la dignità pontificia. Scolaro di Pomponio Leto, era stato educato allo studio delle lettere classiche. Fu dotto, festevole e arguto nel conver- sare. Con lui parvero ritornati i tempi di Leone X, favoriti da una politica prudente che s'appoggiava alla Spagna e all'Imperatore. Ma Paolo merita biasimo per la sua sfrenata ambizione e pel suo colpevole nepotismo.
Fece duca di Parma suo figlio Pierluigi, un mo-
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stro morale come Cesare Borgia, senza averne l'in- gegno, e fé' vista di non accorgersi delle scellera- tezze di quel suo bastardo, eppure erano sì infami che oggi ci sentiamo stomacati all' udirne il rac- conto. Pel suo nepote Ottavio ottenne la mano di Margherita, figliuola naturale di Carlo V, la quale più tardi fu fatta reggente dei Paesi Bassi. Que- sto matrimonio ci è ricordato dal palazzo Madama e dalla villa Madama, venuti in mano di Marghe- rita P uno e P altra, dopo che Paolo ebbe ingiu- stamente confiscato i beni dei Medici in Roma. 11 Papa stesso poi ci è ricordato dal più magnifico palazzo di Roma, eh' egli fece costruire, quand' era cardinale, e che è adornato dai graziosi affreschi dei Caracci. Anche la celeberrima Farnesina, da lui acquistata Panno 1586, mantiene viva la me- moria eli una famiglia che ebbe una parte così importante nella storia d' Italia, di Spagna e dei Paesi Bassi, e che può dirsi altrettanto intima- mente connessa con la storia dell' arte, quanto quella dei Medici. Non parlo poi della parte at- tivissima che Paolo prese alla costruzione di San Pietro, valendosi dell' opera di Michelangelo che durante il suo regno terminò il Giudizio uni- versale.
Paolo, lo splendido principe della Chiesa, morì
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nel colmo della sua grandezza, ampiamente sod- disfatto nelP ambizione cP esser fondatore d' una casa principesca; ma egli fu sfortunato ne' suoi nepoti, perchè vide Pierluigi morire assassinato e Ottavio ribellarsi contro di lui: tanto bastò per ispinger nella tomba un vecchio di ottantun' anno. Con Paolo finisce il periodo classico del pa- pato. Egli vide, durante il suo regno, spuntar fuori quelle forze occulte, i cui germi s' eran ma- turati nel seno del tempo, e che dovevano tra poco trasformar da cima a fondo il papato e la Chiesa ; egli comprese appena tal movimento, lo sopportò, ma se ne tenne lontano. Già erano stati fondati nuovi ordini religiosi : Gaetano di Thiene e Giovan Pietro Caraffa, avevano fondato nell'anno 1514 i Teatini; Ignazio di Loyola aveva istituito la Compagnia di Gesù ch'era già stata confermata V anno 1543. Ca- raffa e Alvarez, domenicani tutti e due, aveano estorto a Paolo la Bolla del 20 luglio 1542 che in- trodusse P Inquisizione, e Panno 1543 entrò in vi- gore la Censura. Così adunque dovevan tra poco esser bruciati sul rogo ebrei ed eretici, e ciò proprio dinanzi alla chiesa di Santa Maria sopra Minerva, dove riposano Leone X e il Bembo, i quali non molti anni innanzi sorridevano malizio- samente, quando in un gaio colloquio taluno si
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divertiva a negare il Cristianesimo, Dio e l'im- mortalità dell' anima.
Ora troveremo due lacune nella serie dei se- polcri papali, poiché Giulio III Monte che regnò cinque anni, e Marcello II Cervini che portò il peso della triplice corona per soli ventidue giorni, non hanno alcun monumento. Il loro regno, senza im- portanza, fu una pausa tra il vecchio e il nuovo tempo, fu la calma che precede la tempesta.
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In quella magnifica cappella della chiesa dei Domenicani, Santa Maria sopra Minerva, che il car- dinale Olivieri Caraffa fece costruire in onore di san Tommaso d' Aquino, e Filippo Lippi adornò di pitture, noi vediamo la tomba di un Papa che merita tutta la nostra attenzione. Sopra un sar- cofago di marmo giallo sta assisa una figura rav- volta in ricca veste con la destra sollevata per be- nedire o per maledire, e con le chiavi di San Pietro nella sinistra.
Il suo volto scarno e macilento è adombrato da una rada barba ; i lineamenti duri, come di bronzo, ne fanno un vero tipo di frate austero. Gli occhi sono profondamente infossati nelle occhiaie ; le rughe che solcano la sua fronte e le guance ed attorniano la bocca risoluta ed imperiosa, non sono solamente grinze di un vecchio ottantenne, ma
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anche le tracce cF uno spirito pieno (T impeto pre- potente e focoso di un' anima fanatica e nata per comandare.
Quest' anima coli' ardore della sua volontà pe- netrava uomini e cose ; da lei spirava un' atmo- sfera che riempiva tutto di passione, di zelo o di spavento. Perfino quel terribile Alba, che non tre- mava dinanzi ad alcuno, poiché in Roma si fu presentato a questo Papa, dovette confessare di non aver mai temuto il volto di alcun uomo quanto quello di questo vecchio. E tale volto che ritratto nel marmo ci riguarda dall' alto, è quello di Papa Paolo IV della famiglia napoletana dei Caraffa.
Fu lui che riformò nel corpo e nelP anima la Chiesa, e le ispirò quel fervore e quelP incredibile energia con cui potè non solo resistere alla Ri- forma, ma anche penetrar vittoriosa nel cuore dei paesi protestanti. Egli le trasfuse tale entusiasmo quale era quello onde fu animata nel decimoterzo secolo al tempo di Domenico e di Francesco. L'In- quisizione, le torture, gli Auto da Fé, la Censura, sono sue opere ; da lui ricevette alimento e favore la Compagnia di Gesù, a lui si rivolsero Loyola e Saverio, uomini che erano animati dalla medesima fiamma distruggitrice che il loro compatriota Piz- zarro, in un altro campo.
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La Riforma colla profonda scissura da lei aperta nell' umanità, avea fatto sì che il papato perdesse la sua posizione nel dominio universale dello spirito, di cui esso era la personificazione mo- rale. Ormai non era più che una parte del tutto, non più che una setta al pari della Chiesa prote- stante. Giunto a questo punto il papato rivolse in sé lo sguardo, raccoltosi e contrattosi, eliminò da sé ogni elemento nemico, proclamò, direi quasi, la legge marziale nel suo campo, si cristallizzò nella disciplina più spietata che mai sia stata in vigore, e quindi eruppe pronto all' assalto con nuove armi, nuovi ordini di battaglia e nuovi piani di guerra.
La Compagnia di Gesù, militarmente ordinata, sia pure stata quel che si vuole, rimarrà sempre una creazione notevolissima dello spirito umano, principalmente per questo che essa per la prima ha attuato il concetto dell'associazione nella maniera più grandiosa, presentandoci in sé una società che penetrata da un principio semplicissimo si estese su tutto quanto il mondo, ed accolse nel suo seno tutte le capacità e le tendenze umane, volgendole a suo prò. -A questa sua universalità e versatilità deve F Ordine di Gesù la sua grandezza ; come T ubiquità e il mistero di cui si circonda, lo han reso sì temuto. Più tardi gli fu contrapposta la
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Frammassoneria che aveva anch'essa per iscopo su- premo tutta V umanità ; ma mentre abbracciava un campo sì vasto, le mancava un principio determi- nato ed efficace per servirle di perno ; cosicché non riuscì ad esser più che un sentimento ideale d' amore umanitario. La lotta di queste due so- cietà è uno dei più interessanti spettacoli nella storia intima dell' Europa moderna, ma rimane an- cora segreta e non potrà essere interamente sve- lata che neir avvenire.
Con Paolo Caraffa la passione religiosa si riac- cese con maggior violenza: la Chiesa, la sposa di Cristo, con nuovo abito festivo si apparecchiava a celebrar le sue nozze sanguinose nella notte di san Bartolomeo, mentre in Roma stessa ebbra di vittoria si avvolgeva in un ammanto di sfolgorante ricchezza. Tutte le magnificenze di cui Giulio e Leone avevano fatto sfoggio come dominatori tem- porali, allora servirono ad onorar la potestà spi- rituale e a circondar la Chiesa d' una pompa inau- dita, intesa a decorar lei stessa e il suo trionfo, e non più soltanto la persona del sovrano.
Di lì in poi Roma prese a trasformarsi nella città di Sisto V. L' antichità, la quale sotto Leone aveva vinto lo spirito cristiano, fu ora un' altra volta soggiogata. Su gli obelischi di Egitto fu pian-
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tata la Croce, sopra le colonne di Traiano e Marco Aurelio sorsero le statue degli apostoli Pietro e Paolo.
Anche Paolo IV edificò, ma non mica colonnati, loggie o gallerie, sibbene un serraglio o un erga- stolo con mura e porte, e vi rinserrò dentro V og- getto del suo odio, gli Ebrei. Suo monumento ar- chitettonico è il Ghetto. Quando morì dopo cinque anni di pontificato e più di ottanta di vita (1559), il popolo romano si sollevò, saccheggiò la casa del- l'Inquisizione, tentò di dar fuoco al convento dei Domenicani della Minerva, e gettò nel fango le statue di Paolo. Fu allora che si vide un ebreo mettere in capo alla statua del Papa in Campido- glio il berretto giallo che Paolo aveva imposto agli Ebrei di portar come segno di disonore.
Leggiamo ora l'iscrizione nel sepolcro del Caraffa:
Gesù Cristo, speranza e vita dei fedeli. A Tao- Io IV Caraffa Pontefice Massimo, unico per elo- quenza, dottrina e sapienza, sublime per integrità, liberalità e grandezza d9 animo, inesorabile punitore dei delitti, zelantissimo propugnatore della fede cat- tolica, pose questo monumento la gratitudine e la pietà di Pio V. Visse anni 83, mesi 1, giorni 20, e morì V anno 1559 ai 14 di agosto, nelV anno quinto
del suo pontificato.
io
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Il monumento fu eseguito sul disegno di Pirro Ligorio, la statua fu scolpita da Giacomo e Tom- maso Casignola: il tutto non ha alcun valore ar- tistico.
IL
Una semplice lapide presso P aitar maggiore della chiesa di Santa Maria degli Angeli è il me- schino monumento del successore di Paolo, Pio IV, Giovanni Angelo Medici, milanese (1559-1565). Egli fu un Papa mondano e gioviale : tali ricisi contrasti si succedono spesso nella sede di San Pietro.
Si racconta un fatterello grazioso della vita di Pio IV, prima che fosse eletto Papa. Un giorno, ai tempi di Paolo IV, alcuni cardinali amici se ne stavano a pranzare insieme: un bel giovinetto im- provvisava sonando la lira, quando a un tratto il cardinale Alessandro Farnese porgendogli una ghir- landa, gli ordinò di incoronarne quello eh' egli cre- deva fosse per divenir Papa. L' altro, senza esitare, andò a metterla in capo ad Angelo Medici ; anche il ragazzo, sonator di lira, portò poi la porpora cardinalizia, e fu Silvio Antoniano. '
1 Ranke, I Papi, lo Stato e la Chiesa pontifìcia nel de- cimosesto e decimosettimo secolo.
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Quantunque Pio IV fosse mondano e amante della vita allegra, tuttavia il rinnovamento della Chiesa continuò il suo corso ; è vero che egli avea per nepote un sant' uomo, qual fu Carlo Borromeo. Per contrario i nepoti di Paolo IV furono più o meno scellerati, e fecero una fine tragica. Pio, nemico acerrimo della loro famiglia, non ebbe ri- guardo né al loro grado, né alla memoria del suo antecessore. La fine del duca di Palliano, che aveva fatto morire la sua propria moglie con romana freddezza, mise spavento a tutta la nobiltà di Roma. Egli fu giustiziato in Castel Sant' Angelo, e il cardinale Carlo Caraffa ebbe la stessa sorte. Da quel tempo in poi cangiò la posizione dei ne- poti. Essi non ricevettero più dei principati ; si dovettero contentare di fondar ricche e potenti famiglie, i cui palazzi e ville abbelliscono oggi la moderna Roma.
Sotto Pio IV si chiuse il concilio di Trento, e la Chiesa fu riordinata sotto ogni aspetto.
Ora dobbiam passare a Santa Maria Maggiore, dove dai tempi di Niccolò IV non abbiamo veduto alcun monumento di Papa. Adesso ce ne troveremo un altro di tale estensione e magnificenza, quale non ne vedemmo da lungo tempo. Anch' esso ap- partiene all' età della pompa cattolica.
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Nella chiesa di Santa Maria Maggiore, a destra e a sinistra, si trovano due grandi cappelle a croce greca, sormontate da cupola, le quali fan riscontro V una all' altra. Il lusso di pitture, di colonne corintie con capitelli dorati, di marmi pre- ziosi d'ogni maniera, dei quali sono incrostati pavimento e pareti, è di una profusione che ab- baglia e stanca. Le pareti laterali di ciascuna cappella sono occupate da due monumenti, di stile rispettivamente conforme, vedendosi in ciascuna da una parte un Papa in atto di benedire, e dirimpetto un altro inginocchiato e atteggiato a preghiera.
Entriamo nella cappella del Presepio fatta edi- ficare da Sisto V, dov' è anche il sepolcro di lui, e dove sorge il fastoso monumento di un Papa portante intorno al capo un' aureola di raggi do- rati. Questi raggi che e' indicano un Papa santi- ficato non sono essi un' emanazione dell' anima ardente del Caraffa? È la statua di san Pio V Ghi- slieri (1566-1572). Egli compì la ristorazione della Chiesa incominciata da Paolo IV, e nel breve tempo del suo pontificato che non durò più di sei anni, vide prepararsi ed effettuarsi avvenimenti sì grandi, come la guerra cP Olanda, la caduta degli Ugo- notti in Francia, la notte orrenda di san Barto-
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lomeo e la vittoria di Lepanto, avvenimenti festeg- giati in Roma con solenni rendimenti di grazie. Essi sono là effigiati in modo da formar come un'aureola intorno al capo del divoto uomo, che nato in umile condizione, entrò ancor fanciullo di quattordici anni nell' ordine dei Domenicani, e fu visto per Roma andare in processione a capo sco- perto e piedi scalzi.
Col carattere di lui poco s'accorderebbe il fasto del suo monumento, se non fosse che questo non è inteso ad onorar lui, ma la Chiesa trionfatrice ; anzi è appunto ne' monumenti di queste due cap- pelle che meglio si ravvisa quella ostentata magni- ficenza, quella pompa calcolata di cui allora si cir- condò il culto. In essi non troverai traccia di quel sentimento ingenuo, intimo e personale che rende cari i monumenti del medio evo ; non vi resta che un' esteriorità senz' anima.
Queste tombe sovraccaricano le pareti come un addobbo festivo, e servono anche di decorazione architettonica, giacché le loro sculture, le colonne di verde antico, i fregi, i timpani entrano a far parte dell' architettura della cappella stessa. La tomba è fiancheggiata da quattro colonne, sorreg- genti un architrave; nella nicchia di mezzo trovasi la statua del Papa. In ciascun lato è contenuto un
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rilievo rappresentante qualche avvenimento della sua vita; nella parte superiore del sepolcro si veg- gono altri due rilievi, e il quinto finalmente, che rappresenta l' incoronazione del Papa, finisce il mo- numento stesso. Oltre a ciò nelle due nicchie di fianco alla tomba sorgon le figure di Pietro Mar- tire e di san Domenico.
La statua di Pio V, scarno e smunto frate che pare uno spettro, siede in atto di benedire, sopra il sarcofago, sulla cui parte anteriore il Papa stesso è effigiato giacente in un rilievo di bronzo dorato. È opera di Leonardo da Sarzana, ma V artista ha fatto miglior prova in quella di Niccolò IV. I ri- lievi son di parecchie mani, alcuni dei fiamminghi Nicola rP Arras e Egidio : in tutti domina il prin- cipio pittorico, la prospettiva, gli scorci, e il pieno distacco delle figure. Essi ci mostrano come al principio del secolo decimosettimo la scultura an- dasse sempre più facendosi schiava della pittura, e si riducesse ad una abilità meccanica d' inta- gliatore. Tutte queste sculture stan molto al di- sotto dei lavori dell' Oliveri, o di Michelangelo Sanese o del Tribolo; e possono soltanto interes- sarci pei loro soggetti storici, che ricordano av- venimenti di straordinaria importanza.
Uno di quei rilievi rappresenta la battaglia di
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Lepanto, .e l'iscrizione non dimentica di celebrare che Marco Antonio Colonna era ammiraglio pon- tificio, che furono uccisi 30,000 Turchi e 10,000 fatti prigionieri, che furon colate a fondo 90 tri- remi e 180 prese, e che finalmente vennero libe- rati dalla schiavitù 15,000 Cristiani. Come mutano i tempi e gli uomini ! Allorquando il Tasso scrisse il suo gran poema spirante odio contro i Turchi, quando costoro toccarono a Lepanto quella scon- fitta senza pari, e il Papa n' ebbe a morir di gioia, chi poteva indovinare che dovesse venire un tempo in cui la Chiesa cattolica avrebbe avuto somma- mente a cuore di veder salvi e padroni eli Co- stantinopoli quei Turchi stessi? Eppure è così: questo tempo è venuto. I cannoni di Russia hanno un mal suono pel Vaticano, e non a torto ; poiché V antica Madonna di Santa Maria del Popolo in Roma è nemica mortale della Madonna di Chiev, la quale fuggendo dalla moschea di Santa Sofia cercò ricovero in Russia.
Chi ha visitato il palazzo Colonna a Roma, ri- corda certamente un gran quadro che si trova nella sala di ricevimento, tra i ritratti di quella illustre famiglia. Al pari che il rilievo della tomba di Pio V, esso ci rappresenta la battaglia di Lepanto, in tutti i suoi particolari, secondo un disegno ben
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ordinato. Il Papa fece dipinger la medesima bat- taglia anche nelP Àula regia. '
In un altro rilievo del monumento si vede Pio consegnare a Marcantonio Colonna la bandiera, e in un terzo porgere il bastone del comando allo Sforza duca di Santa Fiora. Lo Sforza fu condot- tiero delle truppe che il Papa spedì a Carlo IX di Francia contro i disgraziati Ugonotti.
L' iscrizione del sepolcro celebra tra le glorie del Papa V aver egli vinto V eresia, risollevata la Francia, e appesi nel Laterano i trofei della sua vittoria. Vi si vede parimente rappresentata in ri- lievo una scena di battaglia contro i Protestanti. I soggetti adunque che qui scorgiamo trattati, ci fan conoscere quale sia ormai da concepir la Chiesa, cioè come ecclesia militans et in sanguine hcereti- corum triumphans.
1 In quell'occasione Roma, già del tutto mansuefatta, godette per Y ultima volta dello spettacolo del trionfo d' un suo concittadino. Marcantonio Colonna salì trionfalmente al Campidoglio nella chiesa di Santa Maria in Ara Cceli. Quivi egli consacrò una colonna rostrata d'argento. I Francesi della prima repubblica rubarono quel prezioso monumento, ma ce ne dà un disegno il padre Casimiro nella sua Storia della chiesa e del convento d'Ara Codi, opera che merita d' esser letta, ed è anzi la migliore tra quante monografie trattano la storia delle chiese di Roma. In quanto alla battaglia di Lepanto, non occorre richiamare alla mente del lettore il ben noto e meri- tamente lodato libro del dotto domenicano della Minerva, il [ padre Guglielmotti, che ne trattò ampiamente.
TERZA SERIE. 153
III.
Successore di Pio V fu Gregorio XIII, Ugo Boncompagni, ciotto giurista, di una nobile fami- glia bolognese. Sedette sulla cattedra di San Pietro dall'anno 1572 al 1585. Lo spirito del suo pon- tificato, che del resto non è contraddistinto da al- cuno avvenimento notevole, apparisce manifesto nello zelo da lui spiegato per la propagazione della fede cattolica. Egli solo istituì ventitré collegi, e tra questi, il Germanico, il Britannico, il Romano, quello dei Neofiti, dei Greci e dei Maroniti in Roma; gli altri per tutto il mondo. Il suo stemma gen- tilizio portava un drago alato, e di tale emblema, messo in relazione col mito di Trittolemo, si trasse un partito ingegnoso nelle sue medaglie comme- morative, che ci mostrano un drago attaccato ad un carro pieno di sacchi donde escono spighe di grano, col motto: semina desertis terris.
Il nome di Gregorio è reso immortale dalla ri- forma del calendario. Questo fatto degno di Roma, della capitale del mondo, è rappresentato in un rilievo del suo sepolcro, dove vediamo il Papa, con un globo celeste a fianco, nelP atto di porgere il calendario ad un astronomo.
Fu un cardinal Buoncompagni quello che in-
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nalzò a Gregorio XIII il monumento in San Pietro, ma ciò non prima del 1723. Il lavoro è quindi po- steriore ai tempi del Bernini, e precisamente di mano d'un artista d'ingegno, Camillo Rusconi: vi si nota il fare pittorico, ma piace. Un sarcofago marmoreo poggia su d'un basamento; la Sapienza sotto la figura di Minerva con elmo e scudo, sol- leva dall' urna una coverta per mostrare il rilievo di cui abbiamo parlato; dall' altro lato sta la Fede con la Bibbia e una tavola dove è scritto: novi opera eius et fidem. Osservisi ancora una volta la graziosa mescolanza di concetti pagani e cristiani, tanto frequente in queste decorazioni sepolcrali. Finalmente il Papa è seduto sopra il sarcofago in atto di benedire : è una maestosa figura di vecchio autorevole e severa. Gregorio avea raggiunto l' età di ottantaquattro anni.
E ora alla tomba di Sisto V Peretti. Se e' è cosa che costringa l' osservatore a fermarsi am- mirando, e ridesti in lui una folla di ricordi, questa è certamente la tomba dell' uomo ruvido sì, e di brutta persona, ma straordinario che da fanciullo guardò i porci, e da vecchio signoreggiò su principi e popoli, e riempì Roma di tante opere, che il suo nome risuona dappertutto come un' eco all' orecchio del forestiero.
TERZA SERIE. 155
La fortuna misteriosa che sollevò Napoleone dalla polvere al trono del mondo, ci par roman- zesca e leggendaria; ebbene, mentre sì meravi- gliose vicende nella storia dei re sono eccezioni, in quella dei Papi son quasi regola. Ciò ha la sua ragione nell' intima essenza del cristianesimo che vuole a sé lo spirito, non la persona. Quindi è che la storia dei re è piena di nomi d' uomini da nulla, i quali, se non fosse il privilegio della corona, sarebbero sepolti in eterno oblio; laddove la storia dei Papi è ricca eli grandi personaggi che avreb- bero saputo acquistarsi fama anche per altre vie.,
E un piacere l'osservar questi uomini d'animo forte, sorti dal nulla, e il seguire le vie del genio che, a somiglianza della forza elettrica penetra gli avvenimenti, e s'impossessa del mondo come di materia sua.
Sisto guardava i porci di suo padre in Mon- talto ; e da giovanetto studiava alla scarsa luce della lampada accesa alla Madonna. C1 è degli spi- riti rari per cui una gocciola del sapere diviene un mare, e lo splender fugace d' una sola idea che lascerebbe V uomo volgare nelle tenebre, gì' illu- mina come un raggio di luce celeste. E del resto che cosa sarà poco o troppo per una mente a cui è maestra 1' onnisciente natura ?
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Felice Peretti, divenuto francescano, infiammò tutta Roma colle sue prediche quaresimali nella chiesa dei Santi Apostoli. Fu fatto vescovo di Fer- mo, poi cardinale, e se ne viveva modestamente in Roma, ritirato per lo più nella sua vigna presso l'aggere di Servio Tullio; quivi vedevasi, prima che vi sorgessero i nuovi quartieri dell' Esquilino, in mezzo ad un gruppo di cupi cipressi la figura colossale di Minerva, solitario emblema dell' antica Roma. Lo stemma scolpito sul piedistallo, cioè un leone che porta tre pere tra le branche, mostrava che la statua fu lì collocata da Felice Peretti. Questo stemma, e la quercia dei Della Rovere, son quelli che s'incontrano in Roma più spesso che ogni altra arme gentilizia dei Papi più antichi.
Felice divenne Papa l'anno 1585. Regnò soli cirìque anni ; e questo breve spazio bastò al più edificatore di tutti i principi della Chiesa per rin- novar Roma. Quello che Giulio e Leone erano stati nel periodo classico della Roma papale, egli fu al tempo del rinnovamento politico ed ecclesiastico, ch'esso colla sua forte intelligenza, non solo com- prese, ma compì, facendone eterno monumento Roma stessa.
La sua tomba che è in quella medesima cap- pella di Santa Maria Maggiore, dov'è sepolto
TERZA SERIE. 157
Pio V, ricorda ripetutamente ne' suoi rilievi quale uomo fosse Sisto. Tra quei cinque rilievi perfetta- mente rassomiglianti agli altri del monumento di Pio, appartenendo tutti allo stesso tempo, il più degno d' osservazione è quello che è a destra della statua del Papa. Sul dinanzi si vedono le figure della Pace e della Guerra, nel mezzo e nel fondo scene di combattimenti ed uomini che, alla maniera turca, tengono in mano pei capelli delle teste tron- cate. Non è strano vedere scelto un tale soggetto per decorar la tomba d' un Papa? Ne' sarcofaghi de' primi tempi del cristianesimo, noi vediamo ef- figiati o gli apostoli Pietro e Paolo, o delle figure d' angeli, piene di dolcezza e di grazia, o qualche Madonna, tutta ideale, o martiri e patriarchi ; nei tempi di mezzo incontriamo figure allegoriche di virtù ; ci voleva il cristianesimo de' tempi moderni per presentarci nella tomba d'un Papa, in una scena di disgustoso realismo, il boia che tien so- spese pei capelli delle teste di banditi. E non si è creduto di recare offesa alla gloria del Santo Padre piantando sulla sua tomba questi orribili trofei ! Di qui si vede quanto sian diversi e il senso morale e il senso artistico ne' diversi tempi.
Il bassorilievo di cui parliamo, allude alla se- verità implacabile adoperata da Sisto nelP estirpare
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i banditi, i quali da Gregorio XIII in poi avevan reso impraticabile Roma e la campagna, e tra cui avevan figurato perfino dei nobili, come Alfonso Piccolomini e Roberto Malatesta. Questo moltipli- carsi dei banditi era poi una conseguenza neces- saria della soppressione di molte baronie, e della limitazione dei diritti feudali. '
Gli altri rilievi si riferiscono ad avvenimenti politici, come V appianamento della contesa tra T Austria e Sigismondo di Polonia, ovvero a cano- nizzazioni e altre opere religiose. A ciascuno serve di fondo la veduta di qualche costruzione che si deve a questo Papa. Qui è 1' obelisco di San Pietro fatto innalzar da Sisto V per opera del suo archi- tetto Fontana, là è la cupola del Vaticano condotta a termine sotto il suo pontificato, in un altro vedesi V acquedotto dell'Acqua Felice, così detta dal suo nome. Questa fu la più utile di tutte le sue opere, per cui si meritò che la gratitudine del popolo ro- mano gli dedicasse una statua di bronzo nel Campi- doglio. Sarebbe troppo lungo enumerare tutti gli edifizi da lui eretti in Roma; basti dire che tutti
1 Anche ai giorni nostri il popolo di Roma parlava del go- verno di Sisto V, e ricordava parecchi aneddoti della sua seve- rità ed inflessibilità nell' amministrar la giustizia. Quando i Romani censuravano il loro governo ecclesiastico, s' udivano spesso ripetere: Ci vorrebbe un Sisto Quinto!
TERZA SERIE. 159
hanno un carattere pratico, o servono alla glorifica- zione della fede, non essendo capace il suo spirito dispotico e utilitario di comprendere V arte ideale. Tanto è vero che voleva far rimuovere dal Vaticano il Laocoonte e l'Apollo; e distrutto eh' ebbe senza alcun riguardo il Settizonio di Severo, fu tratte- nuto a stento dal far demolire, anche in parte, il Coliseo e il sepolcro di Cecilia Metella.
Così lo spirito raffinato di Leone X e Giulio II che sapevano con un interesse tutto umano com- prendere e ravvivare V antichità classica, cedeva il posto ad un' arida prosa, non d' altro curante che dei bisogni presenti.
Felice di fatto non meno che di nome, potente, stimato, temuto, e come Papa, e come Monarca, morì in età di sessantanove anni, il 27 agosto 1590. Egli si potrebbe quasi chiamar V ultimo dei Papi. La statua posta sul suo sepolcro, è pregevole la- voro del Basoldo, e ci mostra una figura tarchiata e gagliarda, che tien le mani giunte, in atteggia- mento di preghiera. La sua testa è voluminosa, il naso grosso, maschi e rozzi i lineamenti, larga la fronte dietro alla quale si accoglieva una robusta intelligenza e una volontà di ferro. I suoi occhi eran vivaci e piccoli, le sopracciglia folte e nere, la barba lunga e bianca. Non è raro rincontrare
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anch' oggi tra i Francescani dell' Ara Cceli qualche uomo che gli rassomigli.1
IV.
Dei tre successori di Sisto V, il primo che fu Urbano VII, Giovanni Battista Castagna, regnò soli dodici giorni ; P altro Gregorio XIV, Sfondrato, sol- tanto dieci mesi ; e il terzo Innocenzo IX, Fachi- netti, non più che sedici giorni. Salivan su vecchi e deboli, per discender poco dopo nella tomba. Tra i sopraddetti non e' è che Urbano VII il quale abbia un gran monumento in Santa Maria sopra Minerva, È opera di Ambrogio Buonvicino, con- dotta secondo lo stile allora in voga. Il secondo è ricordato da una semplicissima tomba senza sculture in San Pietro, e il terzo riposa non meno tranquillamente degli altri, quantunque non abbia alcun monumento.
Ma Clemente Vili, Ippolito Aldobrandino fio- rentino, edificatore del Palazzo nuovo in Vaticano* conquistatore di Ferrara, principe forte e dotto
1 La miglior monografia sulla vita di Sisto V, che esiste nella letteratura storica, è quella notissima che scrisse il barone Hùbner, un tempo ambasciatore d'Austria alla Corte ~ di Pio IX.
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giurista, ci conduce eli nuovo dinanzi ad un pom- poso sepolcro nella seconda cappella di Santa Maria Maggiore, fatta edificar da Paolo V Borghese con uno sfoggio incredibile di marmi preziosi. In essa le tombe dei due Papi son disposte in modo per- fettamente uguale a quelle della cappella di Sisto V. La statua di Clemente Vili, assisa dentro la nic- chia in atteggiamento di benedizione, ci mostra un uomo con bella testa piena di vigore, e adorna di virile barba. Nei rilievi sono raffigurate le sue im- prese principali, cioè la pace conchiusa tra Francia e Spagna e la presa di Ferrara, di cui il Papa aveva strappato il possesso all' erede di Alfonso II, Don Cesare.
Dirimpetto a questo sepolcro si distende su tutta la parete il monumento di Paolo V, Camillo Borghese (1605-1621), romano. Come Sisto V, egli è ritratto in ginocchio. È una figura veramente erculea, con una testa massiccia e un collo toroso su cui paiono raccolti V orgoglio, la violenza e la sensualità. È il primo Papa che porti barba alla cavaliera come Enrico IV, il che ci richiama a mente la guerra dei Trent' anni eh' egli vide sino alla battaglia di Praga. A quella faccia rotonda, tozza, d'esuberante vigoria, corrispondeva perfet- tamente il carattere violento e superbo di Paolo,
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che tanto amava di farla da padrone assoluto. Chi non conosce la sua celebre contesa con Ve- nezia, e la parte sostenutavi con incrollabile co- raggio dal suo avversario, e ben più grande di lui, Paolo Sarpi ? I rilievi rappresentano il ricevi- mento fatto dal Papa agli ambasciatori del Congo e del Giappone, la costruzione della fortezza di Ferrara, la spedizione di truppe in Ungheria per soccorrervi Rodolfo II e la canonizzazione di Fran cesca Romana e Carlo Borromeo.
Sotto Paolo V fu compiuto il più grande ed ultimo monumento di Roma, San Pietro, gigan- tesca cittadella della religione, sacra ròcca del Cattolicismo innalzata dai Papi contro la Riforma. Fu esso P ultimo loro sforzo, corona e compimento della Chiesa cattolica. Da quel tempo in poi il papato andò sempre più declinando dall' antica al- tezza donde dominava sul mondo, dappoiché la guerra dei Trentanni scatenò altre potenze, le monarchie, che trasportarono il centro di gravità della storia, da Roma a Parigi.
Il nome di Paolo V vive ancora nella famiglia de' suoi nepoti, da lui sollevata ad alto stato, ed imparentatasi più tardi coi Bonaparte. Il cardinal Scipione Borghese, suo nipote, edificò la magnifica villa fuor di Porta del Popolo, e acquistò il gran
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palazzo che è in città. Nessuna delle tante colle- zioni di tesori artistici che altre famiglie di Papi, a partir dal secolo decimosesto, presero ad accu- mulare per eternar lo splendore del loro casato, rinnovando i tempi e il carattere dei grandi del- l' antica Roma, può stare a fronte delle collezioni Borghese. Da quel tempo in poi i nepoti dei Papi, in cambio di principati indipendenti, ereditarono palazzi, ville, ricchezze e titoli, cosicché Roma si popolò di una nobiltà che doveva la sua origine unicamente ai Papi.
Noi abbiamo saltato una tomba, quella di Leone XI Medici, che salì al trono dopo Cle- mente Vili, e portò la tiara per soli ventisei giorni. Sul suo sepolcro in San Pietro si veggono scolpiti dei fiori con questo motto molto gra- zioso : Sic florui. Il monumento quantunque d' uno stile convenzionale, come tutti gli altri di quel tempo, è tuttavia una delle migliori opere di mano dell' Àlgardi, eseguita per commissione del cardi- nale Ubaldini. Specialmente le due virtù che sono ai lati del sarcofago, la Sapienza in figura di Mi- nerva e V Abbondanza che versa dalla cornucopia oro e gioielli, hanno una buona espressione, e su- perano di gran lunga le figure dello stesso genere che vediamo in altre tombe.
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La strada dei morti, da noi presa a percor- rere, ci conduce adesso in una Chiesa dove non potevamo certamente entrar sino ad ora, perchè sorse appunto in quel tempo di cui stiamo par- lando. È questa la chiesa dei Gesuiti, Sant'Igna- zio, che fa tutt' un edificio insieme col Collegio Romano. Tale opera attesta il fasto del secolo decimosettimo, ed è ancora monumento insigne del genio gesuitico, giacché non solo parecchie sue pitture e sculture sono opera di Gesuiti, ma il disegno stesso della chiesa si deve in parte al- meno, ad un fratello della Compagnia. Quivi, in una cappella vicino alla tribuna, sorge il sepolcro di Gregorio XV, Ludovisi (1621-1623) bolognese, zelante fautore del gesuitismo. Fu lui che cano- nizzò gli eroi dell' ordine Loyola e Saverio, e fondò il più grande istituto del mondo, cioè il collegio di Propaganda Fide. Nel suo monumento disegnato dal Le Gros e da lui stesso eseguito in gran parte, ci si mostra nella più viva luce e il fare tronfio del secolo decimosettimo e il fasto del ricco ordine gesuitico.
Dentro una nicchia vedesi assiso sopra al sar- cofago il Papa in magnifica veste ondeggiante e svolazzante. Di sopra e' è un ricco baldacchino, donde scendono di qua e di là delle tende di va-
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riopinto alabastro a frange (T oro. Tra le pieghe si vedono svolazzar dei gemetti che dan fiato alle trombe della fama.
Sotto il sarcofago di Gregorio trovasi anche quello del suo nepote, il cardinale Ludovico Ludo- visi, il quale padroneggiò a suo talento l'animo del vecchio Papa. Fu lui che costruì la Chiesa di Sant' Ignazio, ed edificò la splendidissima villa di Roma che porta il suo nome, rinomata pe' suoi tesori artistici.
Dal secolo decimosesto in poi abbiam già po- tuto osservare in parecchi altri monumenti papali la decadenza dell' arte ; abbiam visto lo stile gran- dioso di Michelangelo esagerarsi di mano in mano sino ad oltrepassar del tutto i limiti del naturale ; e qua e là abbiam potuto rilevare come la scul- tura traviasse per la ricerca dell' effetto pittoresco. Tutte queste false tendenze dell' arte trovarono finalmente il loro genio nel Bernini. Egli padro- neggiò la povertà del suo secolo più che Raffaello e Michelangelo non avessero saputo far della ric- chezza de' loro tempi; e quel secolo che in tutte le manifestazioni dello spirito fu gonfio, manierato, fastoso, che trasformò perfino la figura umana in una goffa caricatura, segnò al Bernini la via da percorrere. Così quest'uomo d'ingegno straordi-
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nario, che se fosse nato in altra età, avrebbe po- tuto brillare come una stella di prima grandezza, soggiacque alla maledizione del suo tempo, e dovè alle volte traviar oltre i confini veri dell' arte : dinanzi alle sue opere si comprende bene il suo secolo.
Ed eccoci per la prima volta innanzi ad un monumento di mano di questo artista, voglio dire innanzi alla tomba di Urbano Vili, Barbe- rini (1623-1644). La vita del Bernini si continuò sotto il pontificato -di nove Papi, ma egli era nato fatto per Urbano Vili, come Raffaello per Leon X e Michelangelo per Giulio IL Di lui si valse Ur- bano in ogni sua costruzione. Il Tritone di Piazza Barberini, il palazzo proprio della famiglia in parte, la fontana di Piazza di Spagna, i lavori di Castel Sant' Angelo e delle mura, la colossale confessione di San Pietro, sono opera sua.
Papa Urbano aveva anche lui la passione di fabbricare, e vi spiegava grande magnificenza; amava soprattutto di costruir fortificazioni, gusto pienamente in armonia non solo col suo tempo che fu quello della guerra dei Trentanni, ma anche
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coir indole sua propria ; giacché egli anzi tutto volle esser principe sovrano. Fece trasportare clan- destinamente a Roma da San Benedetto di Mantova le ossa della contessa Matilde per depositarle poi in un monumento sontuoso, che si ammira tuttora in San Pietro, erettovi dal Bernini, in onore di quella grande tutrice del dominio temporale. Al quale dominio aggiunse Urbano il ducato di Urbino. Per ragioni di politica odiando a morte la casa d' Austria, s' inimicò con la Spagna, e cospirò alla rovina dell'Imperatore, cui negò i sussidi, non curandosi punto della causa cattolica venuta a disperazione in Germania. Anzi applaudì alle vit- torie di Gustavo Adolfo, le cui geste eroiche an- dava paragonando a quelle di Alessandro Magno, e ne pianse, si dice, la morte precoce. In questo modo, per motivo del dominio temporale, minac- ciato dalla prepotenza di Spagna e di Austria, si vide allora un Papa contraddire a sé stesso e ai bisogni della Chiesa cattolica. Finì poi per esser costretto anche lui a piegarsi dinanzi all'Austria, e diventare politicamente spagnuolo. A ogni modo Urbano fu principe umano e ciotto, perfino poeta, però né l' erudizione classica, né le doti della musa valsero a risparmiargli quella macchia che eter- namente offuscherà la memoria del suo papato,
168 LE TOMBE DEI PAPI.
intendiamo dire la condanna del maggiore ingegno del suo secolo, del grande ed infelice Galileo. Ur- bano che fu uomo d'una corporatura erculea e d' una salute di ferro, regnò ventun anno, e ne visse settantasei.
La sua tomba s' eleva dirimpetto all' altra di Paolo III nella Tribuna di San Pietro, ed è di bronzo come quest' ultima. Ai fianchi d' un magni- fico sarcofago di marmo nero sorge da una parte la Giustizia con fiaccola e spada, dall' altra la Ca- rità con un bambino, figure senza dignità e ma- nierate fino alla nausea. Uno scheletro con ali, in bronzo dorato, che fa raccapricciare o sorridere lo spettatore, sta seduto sopra il sarcofago in atto di registrar nel libro dei morti il nome del Papa. Questi siede, benedicente in trono sopra un basa- mento, ed è un bell'uomo con tutta barba, rav- volto in un' enorme veste le cui pieghe gli si ammucchiano sulle ginocchia. Tale foggia di pan- neggiare gonfia ed esagerata era di moda a quei tempi. Lo stemma portante le api dei Barberini serve di coronamento a tutta 1' architettura.1
Il suo successore Innocenzo X, Pamphili (1644- 1655) è meno .noto pe' suoi fatti che pel nepo-
1 Lo